Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

lunedì 9 dicembre 2013

Appunti di storia della lotta armata [2]

L'anno prima
Genova, 30 luglio 1960
Chi li capisce il PCI e la CGIL? Due anni prima, a Genova, quando c'era il governo Tambroni, stravedevano per quei giovani con le magliette a strisce che le suonavano alla celere, ma oggi, a Torino, in piazza Statuto, non gli piacciono più.
Torino, luglio 1962
Cos'è successo? È successo che SIDA e UIL hanno firmato un'accordo separato e alla Fiat, FIOM e FIM hanno proclamato lo sciopero.
Scioperano tutti, o quasi, la strada si riempie di gente e gli operai si dirigono verso Piazza statuto, dove c'è la sede della UIL.
Invano i galoppini sindacali e di partito si affannano a soffiare sul fuoco, la gente è incazzata, volano sassi e cominciano gli scontri con la polizia, che durano tre giorni, notti comprese.
La condanna della sinistra storica è unanime: i giovani dimostranti sono elementi incontrollati ed esasperati, piccoli gruppi di irresponsabili, giovani scalmanati.
Ma tutta la Torino democratica e antifascista è lì a dar loro una mano.
C'è anche Sante Notarnicola, 24 anni, pugliese. Ha trascorso l'infanzia in un istituto e da dieci anni è arrivato a Torino, dove vive la madre. È comunista, è stato anche segretario della FGCI, ma il partito gli sta stretto. 
Sante, in quella piazza si muove bene, con decisione. Lo nota Pietro Cavallero, di una decina d'anni più vecchio. Anche lui è stato, nel dopoguerra, un dirigente della gioventù comunista. Ma è un estremista e il partito lo ha scaricato.
Diplomato e con una vasta cultura d'autodidatta, frustrato nelle sue ambizioni di rivoluzionario professionale, Pietro è ormai un disadattato che non riesce ad avere un lavoro fisso, come Sante.
Sono fatti per intendersi e per fare sul serio.
Scheda segnaletica di Jules Bonnot
Sono per l'azione e il loro modello è Jules Bonnot e la sua banda di rapinatori anarchici. I soldi serviranno per finanziare non si sa bene che, nel frattempo la rapina, come atto eversivo nei confronti del potere normativo del denaro, è sufficiente ragione di se stessa.
Cavallero coinvolge un altro compagno, quasi coetaneo , ma che fatto in tempo a partecipare, giovanissimo, alla Resistenza: Adriano Rovoletto.
Nel 1963 cominciano le prime rapine, andranno avanti per quattro anni, trasformandosi in colpi sempre più audaci che terrorizzano il triangolo industriale.  Épater le bourgeois!
Aprono un ufficio di copertura e si assegnano un normale stipendio, non si concedono lussi. Dopo qualche anno, associano all'impresa un apprendista, Donato Lopez, di soli 17 anni, di una famiglia emigrata dal sud.
L'ultima rapina è il 25 settembre del 1967. Intercettati dalla polizia iniziano una fuga forsennata con sparatoria e tre passanti ci rimettono la vita. 
Sono presi e processati rapidamente. Lopez, per la giovane età, viene condannato a dodici anni, per gli altri tre è l'ergastolo.
Alla sentenza, i tre balzano in piedi e intonano Figli dell'officina.
Cavallero, Notarnicola e Rovoletto al momento della sentenza
In carcere, forse assecondata da un violento pestaggio delle guardie carcerarie, Cavallero ha una crisi mistica e abbraccia la fede. Notarnicola, invece, radicalizza le sue posizioni, il suo sarà il primo nome della lista dei prigionieri che le BR vorrebbero liberati in cambio di Aldo Moro.
Inutile dire che la dimensione politica della loro azione, sfuggì, allora ai più. Fu considerata una pagliacciata da non prendere in seria considerazione e furono sbrigativamente liquidati come delinquenti politici. Di lì a poco, saranno imitati.
D'altronde era solo il 1967 e l'Italia era ancora un paese arretrato e provinciale.
Era l'anno prima.

 




appunti di storia della lotta armata [1]

L'onda lunga della guerra civile


Voi avete tradito la Resistenza – vogliamo si sappia –  e nessuna mistificazione potrà mutare la realtà storica – quali furono le forze motrici della Resistenza e quali invece forze che, pur partecipando ai Comitati di Liberazione Nazionale, facevano da remora e praticamente agirono per limitare la guerra di Liberazione nazionale e per impedire o fare fallire l’insurrezione nazionale … saranno le masse lavoratrici a dare la spinta decisiva per l’azione di rinnovamento sociale: e questa spinta sarà tanto più travolgente quanto più avrete cercato di calpestare la volontà popolare, di farvi gioco delle aspirazioni e degli interessi della nazione
Così si esprimeva, prendendo la parola in senato, Pietro Secchia, il giorno dell'insediamento del governo Scelba, 10 febbraio 1954.
Pietro Secchia muore nel 1973, di ritorno dal Cile, dove, a suo dire, sarebbe stato avvelenato dalla CIA.
Pietro Secchia è il vicesegretario del PCI, della cui organizzazione è il responsabile. Si dice che diriga anche un apparato occulto, pronto all'insurrezione o quanto meno a reagire con le armi a un eventuale colpo di stato fascista. 
Certo è che i partigiani comunisti le armi non le hanno riconsegnate tutte, e che le hanno, ad ogni buon conto nascoste.
Quando si parla di Resistenza tradita, si parla, in forma forse volutamente equivoca di due cose diverse: la rottura dell'unità antifascista, con conseguente richiamo in servizio, in qualità di cani da guardia, dei neofascisti, oppure la brusca interruzione di un programma che intendeva proseguire, oltre la lotta contro il fascismo, fino alla trasformazione in senso socialista del paese.
I due tradimenti si riferiscono ad altrettante definizioni che della Resistenza sono state date, guerra di liberazione, nel primo caso, guerra civile nel secondo.
È curioso che proprio i partigiani più coerenti con i propositi di trasformazione sociale saranno i più decisi a rifiutare quest'ultima definizione, quando sarà proposta da Claudio Pavone (1991).
Nel citato discorso di Secchia i due concetti si fondono, si parte dal primo per approdare al secondo.
Ma un terzo concetto, più spiccio, si era già diffuso immediatamente a ridosso della Liberazione, quando l'assunzione di tutti i poteri da parte degli Alleati aveva comportato il trasferimento dei processi politici ai tribunali ordinari, deludendo le attese della tanto sperata resa dei conti.
Le esecuzioni si erano dunque prolungate in modo clandestino, il caso più noto fu quello della milanese (ma con propagini nel famigerato triangolo della morte emiliano) Volante Rossa, che agì fino al 1949.
Milano, 25 aprile 1948, la Volante Rossa apre il corteo del PCI.


La Volante Rossa, oltre all'azione clandestina, opera come ufficioso servizio d'ordine del PCI milanese e come tale, nel novembre del 1947, interviene per garantire l'occupazione della prefettura voluta da Giancarlo Pajetta.
Secondo un rapporto del consolato americano a Milano (1947), questa e altre formazioni farebbero parte di un apparato militare del PCI comandato da Cino Moscatelli.
L'apparato è pronto - e in qualche caso, passa - all'azione, nel 1948, in seguito all'attentato contro Togliatti.
È questa l'occasione, insieme a un'ondata di inchieste retroattive su supposti crimini dei tempi di guerra , per colpire repressivamente molti ex partigiani che si suppone faccciano parte dell'apparato clandestino: scattano arresti e condanne, molti trovano rifugio oltrecortina.
Nel dicembre 1950 è il Sifar ad occuparsene in un suo rapporto. Secondo il servizio segreto, i responsabili militari, oltre a Moscatelli, sarebbero Arrigo Boldrini, Bulow, presidente dell'ANPI, Ilio Barontini e Giorgio Amendola.
Con la distensione internazionale l'apparato parallelo, seppur non smantellato, entra in stand bay, ma alla fine degli anni '60, la strategia della tensione, il colpo di stato dei colonnelli in Grecia e, successivamente, quello di Pinochet in Cile, ne mettono in fibrillazione singole parti che andranno definitivamente a saldarsi alle avanguardie di matrice extraparlamentare quando Berlinguer, per eccesso di legalitarismo, scioglierà le commissioni antifasciste –  ovvero gli organi di direzione politica dell'apparato –  delle federazioni.
Nel frattempo, non senza travagli e avventure, le diverse anime del sopravvissuto fascismo –  tanto quella velleitarmente rivoluzionaria e d'ispirazione sociale che incarna lo spirito della RSI, quanto quella reazionaria, erede del fascismo monarchico – sono confluite nel MSI, dove la convivenza è spesso difficile. Le frange estreme si presteranno, pertanto, a essere massa di manovra di apparati di sicurezza dello stato della cui fiducia e protezione godono, poiché in essi ancora operano, molto spesso, gli stessi funzionari del precedente ventennio.
Ma per gli smobilitati della Decima e delle Brigate Nere si aprono anche rosee prospettive di individuale carriera. Grandi e piccoli industriali, superata la breve paura dell'epurazione, sono infatti a caccia di fascisti a cui affidare le relazioni interne delle loro aziende.
Non c'è industria, o quasi, che non abbia, come capo del personale, un fascista. 
Dopo l'autunno caldo, quando comincerà, in ogni fabbrica, una lotta senza quartiere per il ripristino della disciplina, capi e capetti di tale estrazione cercheranno inevitabilmente di reimporre il proprio stile rozzo, arrogante e prepotente.
Saranno i primi obbiettivi di una nascente organizzazione.