Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

lunedì 29 dicembre 2014

IL COMUNISMO SE N'È ANDATO, DORMITE SOGNI TRANQUILLI, BAMBINI


Vent'anni dopo, 28.10.2009
10 novembre 1989, ore 17.30 circa. Eravamo in casa dello zio materno, gli adulti in una stanza, i bambini nell'altra. Tassativamente. "Facciamo discorsi da grandi, i bambini non ci devono essere", dicevano. Bambini a chi? Io avevo 15 anni. Ma accettavo questa imposizione, tanto di là mi annoiavo.
Stavo guardando "Il Libro della Giungla", una videocassetta importata dall'estero dai marinai della famiglia (a Burgas in ogni famiglia c'era uno), cercando di capire qualcosa delle conversazioni, visto che erano in inglese.
Ad un certo punto il cartone si è interrotto, non mi ricordo se era stata la sorellina a combinare qualcosa con i tasti, ma vedo che parte il Programma 1 (all'epoca c'erano due canali, 1 e 2) ed una signora molto seria dice che Todor Jivkov ha rassegnato le dimissioni. Le immagini facevano vedere la sala plenaria del congresso del Partito e hanno inquadrato un Jivkov molto, ma molto vecchio e stanco. Almeno a me è sembrato così.
Sono corsa di là a chiamare gli adulti. 
"Todor Jivkov ha rassegnato le dimissioni!" - ho urlato.
"Ma dai, figurati, non avrai capito" - in risposta.
"Venite di là a vedere".
Hanno ascoltato la TV, si sono ammutoliti. Poi sono tornati di là.
Nelle settimane successive nell'aria si sentiva soprattutto l'incertezza. Ma sarà vero? E' finita? Cosa succede adesso?
Succedevano un sacco di cose strane, come per esempio guardare il telegiornale. Prima di 10 novembre a casa non si guardava mai il TG e adesso alle ore 20 correvano tutti a bersi ogni parola che dicevano i presentatori. Le facce in TV erano le stesse, ma gli adulti le guardavano in modo diverso.
Poi hanno dato fuoco alla Casa del Partito a Sofia. La violenza sugli schermi televisivi. E non era un film di guerra.
Un'insegnante che ci aveva obbligati a leggere un noiosissimo libro scritto da un ex partigiano (fuori dal programma scolastico) ha dichiarato in classe: "Ragazzi, voi sapete che io non sono mai stata comunista!" Sì, infatti, e "Nella tempesta si rafforzano le ali" (il nome del libro appunto)?
L'8 dicembre era la festa del mio rinomato liceo da centro città: ogni anno la scuola teneva a farsi vedere in quell'occasione, si dedicava tanto tempo per l'organizzazione, di solito si impegnavano diversi insegnanti e tutto era molto solenne. Negli ultimi anni però con l'avvio della perestrojka qualcosa era già cambiato. Non c'erano le solite poesie e canzoni patriottiche, mancava quasi il Partito e l'Unione Sovietica, si poteva fare qualche sketch sugli insegnanti e avanzare qualche timida protesta contro le regole degli adulti. Insomma, la libertà era già nell'aria. Anche se non si sapeva mai fin dove ci si poteva spingere.
Era un'ottima occasione per "rompere le catene" (stavamo giusto studiano Prometeo). Abbiamo impostato un programma dove il Partito veniva preso di mira, accusandolo di aver rubato e impoverito il paese. Ad un mese di distanza dal 10 novembre, non ci hanno permesso di metterlo in atto. Alla prova generale diverse parti del testo furono cancellate. "Per cattivo gusto", ci è stato detto.
Il 19 dicembre finalmente anche a Burgas è stata organizzata la prima manifestazione contro il potere locale, impersonato da un vecchietto al potere da almeno 20 anni. Fischi davanti alla sua abitazione, gente che urlava. A pensarci adesso, mi viene da sorridere. Il presidente del Partito della Regione di Burgas (la più grande numericamente e la più "pesante" industrialmente) abitava in mezzo ai comuni mortali, a due passi dall'abitazione dei miei nonni, in un condominio assolutamente anonimo. L'unica cosa a distinguerlo era la Chaika nera della "tenera" età di 20 anni.
Dopo qualche mese (elezioni, osservatori esteri, accuse di brogli) è iniziato lo sciopero generale a Sofia. La TV apriva e chiudeva le trasmissioni con il LET IT BE dei Beatles. I giornalisti scioperavano contro il partito che naturalmente aveva vinto le elezioni. Anche a Burgas abbiamo manifestato, eravamo tutti indignati, i comunisti avevano truccato le nostre preferenze elettorali. Volevamo riprenderci la possibilità di decidere, ci sentivamo derubati dai nostri vecchi che avevano sopportato per troppo tempo lo status quo.
No ai privilegi! No alla burocrazia! No all'ipocrisia! No ai divieti!
Si alla libertà, si alle pari opportunità, si al futuro!
Siamo giovani, siamo intelligenti, il mondo ci appartiene!
("Settembre sarà maggio, la vita sarà un paradiso, sarà!" se non fosse stata scritta da un comunista, la poesia sarebbe calzata a meraviglia ai nostri sentimenti di quei giorni.)
"Il comunismo se n'è andato, dormite sogni tranquilli, bambini!" Era un motivo ricorrente di una canzone che ci martellava tutto il giorno.
Mi sentivo forte anche io, ce l'avevo con tutti quelli che avevano votato per i comunisti, ma non solo le ultime elezioni, anche quelle del referendum del 1946.
In quei giorni ho chiesto a mia nonna: "Ma tu al referendum del 1946 hai votato per la repubblica oppure per la monarchia?" "Tutti abbiamo votato per la repubblica", mi ha risposto lei, seccata di essere accusata di simpatia per i comunisti. "Tu non sai nemmeno come era prima, non volevamo continuare a vivere come degli animali". 
"Tu per chi hai votato alle ultime elezioni?" ho chiesto accusatoria all'altra nonna. "Per BKP (il partito comunista bulgaro)". "Ma come, non sei stanca di 40 anni di regime, della mancanza di libertà, dell'impossibilità di viaggiare all'estero?" Mi ha guardato stranita e mi ha risposto: "I comunisti mi hanno permesso di costruirmi una casa di due piani con il cortile. I miei due figli si sono laureati e hanno trovato un buon impiego. Quando sono malata, viene il medico in casa. Prendo la pensione tutti i mesi e se mi va, lavoro un po' la terra, altrimenti compro i pomodori in negozio. Per me questo è stato il comunismo."
E pure io che di lingua ne avevo tanta (dicevano), mi sono zittita.

Autore: Milena Kotseva, Reggio Emilia, 35 anni

giovedì 4 dicembre 2014

Banditi


partigiani e brigatisti, le contraddizioni del pensiero borghese di sinistra

Che importa se ci chiaman banditi
il popolo conosce i suoi figli 

La miseria culturale a sinistra deriva dall'ulteriore semplificazione di un pensiero già fin troppo semplificato. Intendiamo alludere al berlinguerismo, un apparato concettuale che solo marginalmente – sarà meglio dirlo – c'entra qualcosa con Enrico Berlinguer.
È comunque dalla lettura della tematica della questione morale, coniugata con la pratica dei governi di solidarietà nazionale, che è nata l'ottica perversa che identifica la democrazia con la legalità.
L'errore è sin troppo evidente: si dà per scontato che l'insieme di norme giuridiche presenti siano il punto d'approdo perfetto e definitivo e che non possa esserci, in un domani, una diversa legalità, che superi e neghi quella attuale.
Che nel bagaglio di quelli che, allora, si chiamavano ancora comunisti, sia entrata questa concezione hegeliana della fine della storia, la dice lunga sulla malafede intellettuale dei dirigenti dell'ultimo PCI.
Che fossero in malafede è reso ancora più evidente dal fatto che la nuova concezione fu contrabbandata in sordina, perché una svolta palese avrebbe comportato la necessità di una revisione della propria storia.
Anche volendo continuare a ignorare la questione del ruolo di Secchia nel partito del dopoguerra, infatti, non ci si sarebbe potuti esimere dall'esprimersi sulla storia del progresso sociale e democratico della nazione, che non fu, se non marginalmente, storia parlamentare.
Dalla riforma agraria allo statuto dei lavoratori, passando per la lotta al governo Tambroni, la storia delle conquiste democratiche e sociali è difatti storia di lotte di piazza, con utilizzo sistematico e organizzato di pratiche illegali tanto da parte dei partiti popolari (PCI, PSI), quanto della CGIL.
Su questa parte della propria storia (che pure era quella che ne spiegava la crescita) il PCI ormai avviato alla Bolognina, preferì stendere un velo.
Non lo squarciarono i vecchi militanti proletari, avvezzi a ipotizzare una supposta teoria delle due verità di togliattiana memoria, né i giovani borghesi, arruolatisi nel partito sulla base di un equivoco o in forza di un acutissimo fiuto opportunista.
Del resto le stragi di stato, la connivenza di neofascisti e mafie con apparati statali e partiti di governo, la P2, gli scandali finanziari e la corruzione, sembravano disegnare confini tra legalità e illegalità che ricalcavano, grosso modo, i confini precedentemente determinati su base di classe. Questo fu il trucco con cui il cancro ideologico ebbe modo di infiltrarsi, silente, in tutti i tessuti delle organizzazioni politiche e sociali che erano state classiste.
A tanti anni di distanza se ne vede la devastazione.
La maggior parte di quelli che, in buona fede, si sentono ancora uomini e donne di sinistra, compresi quelli che si sono meritoriamente rifiutati di seguire la deriva opportunista che da Occhetto è arrivata fino a Renzi, si sono ridotti a ottusi benpensanti teledipendenti da talk show animati dalla stessa logica dei rotocalchi destinati, fino a non moltissimo tempo fa, alle cameriere.
E, ragionando come quelle, non passa settimana che non raccolgano firme per introdurre un nuovo reato nel codice penale.

Il sequestro di Aldo Moro fu un momento cardine di questa operazione.
Tre anni dopo, la copertura mediatica della tragedia di Vermicino metterà in luce sia le proporzioni inaspettate della pancia emotiva del paese, sia la capacità dei media stessi di estendere la reazione emotiva anche ai settori più razionali della pubblica opinione, pena l'isolamento, se non l'ostracismo, sociale.
Era la chiave per ottenere un nuovo conformismo e questa tecnca doveva già essere ben conosciuta dagli addetti ai lavori.
È lecito pensare che l'informazione giornalistica e televisiva, nei 55 giorni del sequestro Moro, sia stata sotto lo stretto controllo di esperti, anche stranieri, di strategia della comunicazione.
Al ministero degli interni c'è Cossiga, uomo di Gladio, e a Taviani, che di Gladio fu il vero e proprio comandante militare, si indirizza la prima lettera di Aldo Moro.
Sono messaggi trasversali a cui si devono assommare le arcinote pressioni di gruppi economici e finanziari per una svolta autoritaria e la necessità di seppellire definitivamente il cumulo delle tante porcherie su cui Pasolini aveva cercato di alzare il coperchio.
C'è, dunque, nell'aria una miscela esplosiva e si possono creare nel paese le condizioni psicologiche favorevoli a una soluzione autoritaria. Anche i movimenti dei servizi di intelligence sono ben poco rassicuranti.
Il PCI corre ai ripari.
L'incidente di Vermicino metterà a nudo la fragilità morale della nazione, ma mostrerà anche come il paese riconosca in Sandro Pertini il simbolo della propria unità. Anche la straordinaria popolarità di Pertini è un fatto noto. 
Berlinguer decide di cavalcare la tigre, la forza del PCI è il nerbo del fronte della fermezza e Pertini ne è il capo. La destra è così fuori gioco.
Il buon Bulow è inviato a fare il giro dell'ANPI, per richiamare i partigiani all'ordine e invitarli perentoriamente a rompere ogni contatto residuo con le BR con le quali, almeno fino al sequestro Sossi, hanno avuto, se non collusioni, simpatie.

Qui c'è il grande divorzio dall'illegalità.
Ma, come si può desumere dalla stringata cronaca precedente, si fa cordone sanitario rispetto a un gruppo che si presta oggettivamente alla provocazione.
Nell'immaginario collettivo di molta sinistra, però, le BR passano velocemente dalla critica oggettivante (compagni che sbagliano), alla condanna soggettivante (delinquenti).
Anche in questo caso, si è cercato di spiegare il cambiamento dell'atteggiamento sulla base dello sdegno emotivo suscitato dalla uccisione di Guido Rossa, sei mesi dopo quella di Moro.
Ma è una spiegazione che non regge e che scambia la causa con l'effetto. Il fatto stesso che Rossa vada a denunciare i suoi compagni di lavoro che fanno circolare materiale delle BR, dimostra che per lui, attivista del partito e del sindacato, le BR sono già una banda di delinquenti.
Il fatto è che, in quei sei mesi, gli elementi anticomunisti da tempo infiltrati nel PCI, che sono tanti e in ottime posizioni, hanno approfittato della mossa tattica di Berlinguer per prendere in mano le redini del partito. La loro forza è ormai tale che, l'anno successivo, non esiteranno a boicottare, senza nascondersi troppo, la linea del leader rispetto alla durissima, e decisiva, vertenza Fiat.

Quella condanna sembra diventata definitiva e guai ad accostare i partigiani alle BR. Sono il diavolo e l'acquasanta.
A determinare l'orizzonte manicheo, l'idea piuttosto ingenua che i partigiani, a differenza delle BR, abbiano agito sulla base di un'idea evidentissima e indubitabile, condivisa dall'intera nazione, un pugno di degenerati a parte.
Fortunatamente, queste circostanze evidentissime che indicano la retta via, generalmente nella storia non accadono, e le rare volte che vi hanno figurato sono servite per abbrustolire streghe, o deportare ebrei, o gasare i Rosemberg.
Non fu la maturazione della coscienza antifascista a determinare la Resistenza, è vero il contrario: fu la Resistenza a far maturare la coscienza antifascista.
La gran massa di chi salì in montagna, vi andò per sfuggire alla leva di Salò. La prima idea fu nascondersi, la seconda che non ci si poteva nascondere senza combattere.
Fu proprio questo il merito delle avanguardie comuniste, trasformare la contraddizione immediata di chi non voleva andare in guerra, in contraddizione politica prima e in contraddizione di classe poi. La famosa linea di massa.
Ed è proprio questa la critica che dobbiamo fare alle BR, aver fallito la linea di massa cercando di fare un salto brusco dalla contraddizione oggettiva di classe alla scelta ideale. Sono quindi imputabili di volontarismo, cioè di aver agito sulla base di un ordine di idee abbastanza borghese.
Cosa che non ha niente a che fare con la delinquenza, sia chiaro.
Ma se i comunisti possono avanzare questa critica, la sinistra borghese non può farlo.
Essi si mossero, indignati come voi e un po' illuministi come voi, per reagire nell'Italia di Piazza Fontana e dell'Italicus, nell'Italia dei servizi deviati collusi con i colonnelli greci, nell'Italia di Sindona e Calvi, nell'Italia dei picchiatori fascisti a braccetto con i ministri democristiani, nell'Italia della massoneria e della mafia, nell'Italia in cui un padre di famiglia era volato dalla finestra della questura...
Per voi, dovrebbero essere degli eroi.