Il fuoco purificatore di Borghezio e di Goebbels ha ripreso ad ardere a Torino.
Un autentico pogrom contro un campo nomadi, ai margini del popoloso e popolare quartiere delle Vallette.
Ad innescarlo un’accusa di stupro rivelatasi poi infondata. Quasi subito, infatti, l’improbabile Maria Goretti ha confessato di essersi inventata tutto, per difendere la propria privacy dalle inquisizioni di un padre padrone, spalleggiato da un’intera famiglia di oculati e puntuali ispettori della sua integrità.
Poveri lei, e poveri zingari.
Nella genesi e nella attuazione di questo vergognoso episodio convergono una serie di elementi culturali che lo promuovono a paradigmatico saggio della miseria culturale interclassista che ha ormai riportato il nostro paese ai livelli di analfabetismo del suo esordio unitario.
Nella tinozza sovraffollata, l’acqua è così putrida che val la pena, pur di liberarsene, di gettar via anche qualche bambino.
Il sangue, il sangue delle vergini e dei martiri innocenti, della circoncisione e di Cristo. Quel sangue sembra essere stata la causa prima di tutto il pastiche.
Cominciò Mosè, spargendolo sul suo popolo – Esodo (24, 3-8) – a simboleggiare l’Alleanza, proseguì il Concilio di Trento (1551) definendo il dogma della transustanziazione. E per secoli, poi, a giocarci: ed ecco allora ebrei che sgozzavano fanciulli cristiani, per insaporirne, di quel sangue, gli azzimi e ancora, ostie rapite e vilipese che lacrimavan sangue a palesare il corpo di Cristo offeso. E migliaia di imbecilli, a giurare di aver visto, con i loro stessi occhi, di avere udito, con le proprie orecchie.
E quel sangue, tramutato in vino, era già stato, dopotutto, il sangue di Dioniso, un dio straniero.
Ma ancora venne la svastica, a recare apoteosi del sangue: Blut und Boden, sangue e terra, un’endiadi che rivendicava la legittimità dell’azione di Caino, stanziale agricoltore che non aveva esitato a far fuori il pastore nomade Abele.
Ed eccolo adesso qua, traccia di un povero amore frettoloso, a scatenare tutto quel gran can can.
Il secondo elemento è la politica avvilita dell’oggi: esibizione di sé prostituita al mito della gente e coatta del presenzialismo della società dello spettacolo.
Esserci, farsi vedere, questa la parola d’ordine che si applica ad ogni assembramento meritevole della propria visibilità, dal funerale al linciaggio.
E la scusa di circostanza – ero lì per moderare … per evitare il peggio … – l’abbiamo già sentita da chi vestì l’orbace più per proprio comodo che per convinzione. A questa pavida zona grigia va addebitata la maggior responsabilità della genesi e prosperità del fascismo e della sua permanente immanenza.
Infine lo sport, inteso nella sua degenerata metamorfosi in tifo, ovvero nel culto, non privo dell’esercizio di violenza, di una determinata combinazione di colori. Di nulla dovranno vergognarsi, questi poveri alienati, di fronte alla storia, poiché nessuna malattia è un’onta.
Ma dovrebbero essere chiamati a rispondere davanti ad un tribunale tutti quei giornalisti, gazzettieri e opinionisti, che hanno pubblicamente ammiccato al fenomeno, confessando simpatia e dispensando comprensione, magari nei toni del semiserio rimprovero che un colonnello – in intimo sollucchero – può riservare a reclute sorprese all’uscita di un bordello.
E no, mascalzoni, il vostro dovere era dire che chi, passata la pubertà, si diletta ancora di tali fesserie ha bisogno di un medico.
Nello squallido raid torinese, che segna un’altra tappa del percorso verso le tenebre di un nuovo medioevo, vediamo dunque agire i fantasmi di tre grandi istituzioni del pensiero occidentale: il santuario di Delfi, la polis ateniese e Olimpia, ormai ben poco riconoscibili sotto lo spesso e grottesco trucco da vecchie baldracche che ora ostentano.
Era prevedibile, e Pasolini lo aveva previsto, che un progresso subalterno al piano del capitale avrebbe portato al degrado antropologico, attuato attraverso una volgarizzazione mutata in involgarimento e alla trasformazione in plebe di quello che era stato il popolo.
Questo processo non sarebbe stato attuabile senza il suicidio, per codardia, per infingardaggine e per avidità del Partito Comunista Italiano.
Alla dissoluzione dell’intellettuale collettivo ha corrisposto la perdita della bussola di quello individuale, soggiogato dalle sirene ingannevoli del radicalismo borghese.
Adesso la situazione è a tal punto degenerata, che è necessario intervenire rozzamente, e con l’accetta.
Sarebbe auspicabile una legislazione d’emergenza che sospendesse per almeno dieci anni il diritto di voto ai tifosi organizzati, alle mamme che vogliono i voti a scuola, agli spettatori di Chi l’ha visto? e a tutti gli altri citrulli che hanno volontariamente aderito a falangi conformiste orientate ad esecuzioni sommarie.
L’obbiettivo che si propone è annichilire quell’atteggiamento grossolanamente relativista che delega alla maggioranza l’onere di discernere il vero dal falso.
L’idea suggestiva di applicare le regole della democrazia all’epistemologia, e di sottoporre a referendum i teoremi di Euclide, trova un limite nella prosaica considerazione che l’opinione di miliardi e miliardi di mosche non ci ha ancora indotto, per ora, a mangiar merda.