Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

mercoledì 17 novembre 2021

QUANDO I DATI NON TORNANO

 • people who are fully vaccinated may be more health conscious and therefore more likely to get tested for COVID-19 and so more likely to be identified as a case (based on the data provided by the NHS Test and Trace)

• many of those who were at the head of the queue for vaccination are those at higher risk from COVID-19 due to their age, their occupation, their family circumstances or because of underlying health issues

• people who are fully vaccinated and people who are unvaccinated may behave differently, particularly with regard to social interactions and therefore may have differing levels of exposure to COVID-19

• people who have never been vaccinated are more likely to have caught COVID-19 in the weeks or months before the period of the cases covered in the report. This gives them some natural immunity to the virus for a few months which may have contributed to a
lower case rate in the past few weeks
fonte: UK Health Security Agency (UKHSA
Queste considerazioni dell'ultimo rapporto UKHSA hanno senso solo se si deve giustificare UN ALTO NUMERO DI CONTAGIATI TRA I VACCINATI. Esaminiamole una per una: 
1 secondo questa considerazione (che contraddice in parte la terza), tra i vaccinati ci sarebbero molti veri e propri maniaci della salute che si sottopongono a frequenti tamponi, aumentando le probabilità di essere classificati come positivi; (messa al primo posto sembra un po' ridicola); 
2 i primi ad essere stati vaccinati sono stati i soggetti per varie ragioni più a rischio (che, evidentemente, il vaccino non ha tutelato sufficientemente); 
3 questa è interessante, ci sarebbero comportamenti sociali differenti tra non vaccinati e vaccinati, che espongono questi ultimi al contagio; 
4 questa è la più interessante di tutte perché ipotizza che ci sia un'alta probabilità che molti non vaccinati abbiano contratto e superato il virus, acquisendo una sia pur momentanea immunizzazione.
Da notare che, ragionando sulla considerazione 3, il green pass, inducendo false sicurezze, può rivelarsi uno strumento pericoloso. La considerazione 4, invece, ci dice che dai non vaccinati arrivano molti morti, ma anche la vera immunità di gregge (modello danese), strategia imperseguibile per le INADEGUATEZZE DEL SISTEMA SANITARIO, che non reggerebbe l'urto.

lunedì 23 agosto 2021

KING KONG E' MORTO A KABUL

 

Il 16 Luglio 2021. Nel Centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese si è svolta la Conferenza Internazionale da remoto dei partiti comunisti di tutto il mondo.

Nell'introduzione alla seconda parte del convegno si dichiarò esplicitamente che al di là dell'evento celebrativo si intendeva dar vita, nell'immediato futuro, a una sorta di struttura permanente di consultazione tra i vari partiti comunisti.

Cosa vuol dire, in una situazione di socialismo in un paese solo la costituzione di una sorta di Kominform?

Significa molte cose, ma la principale è che segna la fine della politica di basso profilo della Cina sul piano politico internazionale.

Nella stessa introduzione si dichiarava esplicitamente che il monopolio ideologico, economico e politico dell'occidente cedeva terreno di fronte al nuovo polo rappresentato dall'oriente.

Tradotto in soldoni ciò significava che la Repubblica Popolare Cinese affermava la propria volontà a svolgere il proprio ruolo di potenza regionale in Asia (ma non solo).

Non bisogna trascurare altri segnali: non molto dopo la conferenza il PCC imponeva una robusta correzione a quella che si potrebbe chiamare la NEP cinese, riallocando ingenti risorse dal privato allo Stato, e l'accumulazione in un paese socialista è sempre un pessimo segnale per i banchieri di Wall Street e i loro satelliti.

Il nuovo corso di Pekino si è rivelato con chiarezza nei giorni scorsi, quando a Kabul abbiamo assistito in replica a ciò che avevamo già visto all'Avana e a Saigon, la disperata fuga dei fantocci yankee, che lasciavano disperatamente a terra i propri tirapiedi, preferendo salvare, al loro posto, più utili sacchi di dollari.

Di fronte all'istantanea e incontenibile riapparizione dei Talebani, l'occidente ha avuto tempi di reazione estremamente lenti, ma soprattutto ha difficoltà a scatenare con la dovuta tempestività la strategia mediatica della caccia al mostro.

La caccia al mostro è un trucco vecchio. Già quando nel centro di Londra, a Whitechapel, si campava più di laudano e prostituzione infantile, che di pane e lavoro, e si lasciava campo libero all'hobby di Jack lo Squartatore, le buone dame inglesi preferivano costituire comitati per la redenzione dell'Africa selvaggia, pagana e cannibale. Le idee di queste buone signore, che erano funzionali a quelle mire di massacro, sfruttamento e saccheggio delle risorse che poi si concretizzarono nel colonialismo, si basavano sull'illusione che ci fosse qualcosa di vero (un dio, una morale, una civiltà) da opporre al falso e all'aberrante. Naturalmente tutto il vero era un prodotto occidentale.

Ci vollero gli anni 60 del XX secolo per scoprire che quel residuato di Illuminismo era una panzana e che aveva anche un nome, etnocentrismo.

Ma a quei tempi c'era l'URSS. Poi, come si sa, morto il gatto i topi tornano a ballare.

Così bastò un attimo per trasformare da un giorno all'altro gli eroici Talebani che avevano tenuto in scacco i Sovietici, in una banda di predoni sanguinari, sadici e fanatici, applicando loro, collettivamente, l'identikit a suo tempo forgiato per Beria.

Adesso, però, il trucco stenta a funzionare, perché a metterci becco in quell'area ci sono i Cinesi e un po' di prudenza è d'obbligo.

Se ne avvantaggeranno in molti, a cominciare dalla Siria, ma anche, forse, più vicino a noi, dove forse qualche patriota incomincia a far calcoli sulla mole di traffico sopportabile dall'aeroporto di Kiev.

Ma qualcosa ci guadagniamo anche noi, come le zitelle inglesi dovettero abbandonare i sogni di evangelizzazione dell'Africa per mettersi a cucinare la minestra per i poveri, così anche qua qualche maîtresse à penser, pronta a indignarsi per lo stupro culturale rappresentato da una volante della polizia e un paio di assistenti sociali, calati in un campo Rom per accertare le condizioni in cui vivono donne e bambini, ma altrettanto certe che in Afganistan ci vogliono i carrarmati e i cacciabombardieri, torneranno a scrivere ricette su Annabella.

Ci vorrà un po', ma sarà così.

  


martedì 15 giugno 2021

PERSICHETTI E' DA IMBAVAGLIARE E DUNQUE FACCIAMO PARLARE PERSICHETTI 2

 

Lo storico Marco Clementi, «Il sequestro dell’archivio di Paolo Persichetti è un attacco al suo lavoro di ricerca sugli anni 70»


Quando il terremoto distrusse Amatrice e gli altri comuni vicini ero lì con la mia famiglia. Paolo Persichetti e la sua erano partiti da qualche giorno e quella mattina avremmo dovuto incontrarci in Umbria. Stavamo lavorando a un libro sul caso Moro e più in generale sugli anni della lotta armata in Italia assieme alla prof.ssa Elisa Santalena, che vive in Francia, e anche durante il periodo estivo ci si incontrava per consultarci. Paolo aveva fatto un lavoro egregio in Archivio di Stato, a Roma, quartiere Eur, dove era stata depositata una mole enorme di documentazione proveniente dalla PS, dai carabinieri, dai servizi (direttive Prodi e Renzi), passando intere settimane a leggere, ordinare e creare un suo inventario di carte che era il primo studioso in Italia a vedere.
Il mio archivio, che contiene documenti provenienti un po’ da tutto il mondo e in molte lingue straniere, si trovava a Capricchia, la frazione di Amatrice da dove è originario mio padre, mentre mia nonna era di Accumoli, tanto per non farci mancare nulla quella notte. Saputo della tragedia, Paolo corse con un amico. La casa, che avevamo ristrutturato da pochi anni, aveva tenuto. Entrammo e con calma, nei giorni successivi, nei momenti in cui non dovevamo provvedere all’ennesima emergenza, mettemmo in salvo l’archivio e circa mille libri, che avevo portato per aprire una biblioteca in paese. Pensavo, all’epoca, che la comunità dove ero nato meritasse un luogo di cultura, sebbene fossero rimasti in pochi a vivere stabilmente tra i Monti della Laga. E lo pensava anche Paolo, per quella che è ormai diventata la sua comunità di adozione.
Di adozione sua e della sua famiglia, con il piccolo Sirio, un bambino che adesso tutti conoscono come il “capo” dei Tetrabondi, un bambino con una forza e di una intelligenza rare, che sta superando ogni difficoltà che la vita gli ha posto di fronte fin dal ventesimo giorno dalla nascita grazie alle sue qualità e al lavoro instancabile dei suoi genitori.
Il dott. Persichetti è un grande papà. Poco mi importa che sia un docente mancato in Francia a causa della sua estradizione e che abbia passato anni in carcere. Resta tra i migliori ricercatori che abbia mai incontrato in quella che, purtroppo, può oramai definirsi una lunga carriera. Chi mi conosce lo sa: ne stimo pochi, con ancora meno parlo. Paolo Persichetti è un uomo colto, acuto, meticoloso (molto più di me), capace di ragionare da storico, politologo e sociologo (molto meglio di me), instancabile lettore di lavori altrui, con una straordinaria capacità di giudizio critico e in grado di tornare sui propri errori. Il suo italiano, poi, è tra i migliori sulla piazza storica. È un cercatore di risposte a domande storicamente fondate e sarebbe in grado di tenere un ottimo corso sugli anni Sessanta e Settanta in qualunque università del mondo.
Qualcuno ha parlato, per la perquisizione della sua casa avvenuta l’8 giugno 2021, di attacco alla ricerca storica. Mica gli storici ufficiali, quelli delle organizzazioni scientifiche e dell’accademia. Quelle e quelli credo non diranno una parola in merito. Li conosco e non mi faccio illusioni. Paolo non è considerato un pari. Tra l’altro la ricerca storica non è una persona. Anzi, non so bene proprio di cosa si tratti. Non so cosa sia la storia, non so cosa sia il passato, il presente, un fatto, un avvenimento. Provate a chiederlo a decine di storiche e di storici. Ognuno darà una risposta differente, spesso vaga, a volte incomprensibile. La questione, allora, riguarda le ricerche proprio del dott. Persichetti. Le sue ricerche, non quelle di chiunque altro. Quelle di uno dei migliori, se non il migliore, studioso del caso Moro. In grado di aprire le contraddizioni e stanare le dietrologie basate sul nulla, di mettere in fila le deduzioni che diventano per miracolo “realtà” e di porre infine il quesito dei quesiti in maniera chiara: se si chiede verità ancora oggi, dopo 40 anni, i processi che hanno condannato decine di persone all’ergastolo o a centinaia di anni di carcere, che cosa hanno detto?
Come se la verità fosse un punto fermo in qualche parte del cosmo e servissero solo le chiavi giuste per aprire la porta che la custodisce. Come se la presenza, ingombrante, di storico o storica non fosse determinante nel maneggio personale e soggettivo delle carte. Come se il soffio che regolarmente passiamo sulla polvere del passato, non scoprisse il nulla che oggi resta e non ci chiedesse, a noi che ci assumiamo la responsabilità di raccontare, di dire esclusivamente la nostra. La verità storica non esiste. Esistono gli uomini e le donne e le loro opere. Paolo è uno di loro. Nelle sue carte e nei computer gli inquirenti troveranno risposte storiografiche solide, ben strutturate, chiare. Troveranno il riflesso di quello che ho potuto osservare in tutti gli anni nei quali abbiamo lavorato insieme e anche se da tempo ho scelto di non occuparmi più di di lotta armata in maniera professionale, ci consultiamo, leggo ancora parte delle cose che scrive, continuo a essere una presenza nella sua vita di studioso, oltre che in quella privata. Credo di aver imparato da lui, come lui ha imparato da me. Ma è arrivato il momento che il dott. Persichetti sia riconosciuto non come un ex, ma per quello che è: un ottimo storico, il migliore sul caso Moro e la storia delle Br. Per distacco.

lunedì 14 giugno 2021

PERSICHETTI E' DA IMBAVAGLIARE E DUNQUE FACCIAMO PARLARE PERSICHETTI 1

 Da oggi ritrasmetto i post di INSORGENZE.

Paolo Persichetti

La libera ricerca storica è ormai divenuta un reato. Per la procura di Roma sarei colpevole di «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro». Per questa ragione martedì 8 giugno dopo aver lasciato i miei figli a scuola, da poco passate le nove del mattino, sono stato fermato da una pattuglia della Digos e scortato nella mia abitazione dove ad attendermi c’erano altri agenti appartenenti a tre diversi servizi della polizia di Stato: Direzione centrale della Polizia di Prevenzione, Digos e Polizia postale. Ho contato in totale 8 uomini e due donne, ma credo ce ne fossero altri rimasti in strada. Una tale dispiegamento di forze era dovuto alla esecuzione di un mandato di perquisizione e contestuale sequestro di telefoni cellulari e ogni altro tipo di materiale informatico (computers, tablet, notebook, smartphone, hard-disk, pendrive, supporti magnetici, ottici e video, fotocamere e videocamere e zone di cloud storage), con particolare attenzione per il rinvenimento delle conversazioni in chat e caselle di posta elettronica e scambio e diffusione di files, nonché ogni altro tipo di materiale. Decreto disposto dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma Eugenio Albamonte che ha dato seguito ad una informativa della Polizia di Prevenzione del 9 febbraio scorso. La perquisizione è terminata alle 17 del pomeriggio e ha messo a dura prova lo stesso personale di polizia estenuato dalla quantità di libri e materiale archivistico (scampato pochi mesi fa a un incendio), raccolto dopo anni di paziente e faticosa ricerca. Singolare il fatto che non risultino effettuate perquisizioni in casa di quei giornalisti “confidenti” della Commissione, o direttamente al libro paga, che ricevevano informazioni di prima mano e diffondevano veline di stampo dietrologico.

La divulgazione di «materiale riservato» (sic!), secondo la procura della Repubblica si sarebbe concretizzata in due reati ben precisi, il favoreggiamento (378 cp) e l’immancabile 270 bis, l’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, che avrebbero avuto inizio l’8 dicembre 2015. Da cinque anni e mezzo, secondo la procura, sarebbe attiva in questo Paese un’organizzazione sovversiva (capace di sfidare persino il lockdown) di cui nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi). E’ legittimo, a questo punto, chiedersi se il richiamo al 270 bis sia stato un espediente, il classico “reato chiavistello”, che consente un uso più agevolato di strumenti di indagine invasivi (pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni e sequestri), in presenza di minori tutele per l’indagato.

L’8 dicembre del 2015 era un martedì in cui cadeva la festa dell’immacolata. In quei giorni la commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni discuteva ed emendava la bozza finale della relazione che chiudeva il primo anno di lavori, approvata appena due giorni dopo, il 10 dicembre. Copie di quella bozza finale erano pervenute in tutte le redazioni d’Italia ed io presi parte, per conto di un quotidiano con il quale collaboravo, alla conferenza stampa di presentazione.
Cosa abbia giustificato un tale imponente dispositivo poliziesco, il saccheggio della mia vita e della mia famiglia, la perquisizione della casa, la sottrazione di tutto il mio materiale e dei miei strumenti di lavoro e di comunicazione, della documentazione amministrativa e medica di mio figlio disabile di cui mi occupo come caregiver, la spoliazione dei ricordi della mia famiglia, foto, appunti, sogni, dimensioni riservate, la nuda vita insomma, non so ancora dirvelo. Ne sapremo qualcosa di più nei prossimi giorni, quando la procura a seguito della richiesta di riesame avanzata dal mio difensore, avvocato Francesco Romeo, dovrà versare le sue carte.

Quello che è chiaro fin da subito è invece l’attacco senza precedenti alla libertà della ricerca storica, alla possibilità di fare storia sugli anni 70, di considerare quel periodo ormai vecchio di 50 anni non un tabù, intoccabile e indicibile se non nella versione quirinalizia declamata in queste ultime settimane, ma materia da approcciare senza complessi e preconcetti con i molteplici strumenti e discipline delle scienze sociali, non certo penali e forensi.
Oggi sono un uomo nudo, non ho più il mio archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto studiando i fondi presenti presso l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio storico del senato, la Biblioteca della Camera dei deputati, la Biblioteca Caetani, l’Emeroteca di Stato, l’Archivio della Corte d’appello e ancora ricavato da una quotidiana raccolta delle fonti aperte, dei portali istituzionali, arricchito da testimonianze orali, esperienze di vita, percorsi. Mi sono state sottratte le tonnellate di appunti, schemi, note e materiali con i quali stavo preparando diversi libri e progetti. Ho dovuto rinunciare in queste ore a un libro che dovevo consegnare nel corso dell’estate, perché i capitoli sono stati sequestrati. Forse qualcuno ha pensato di ammutolirmi relegandomi alla morte civile. Quel che è avvenuto è dunque una intimidazione gravissima che deve allertare tutti in questo Paese, in modo particolare chi lavora nella ricerca, chi si occupa e ama la storia.

Oggi è accaduto a me, domani potrà accadere ad altri se non si organizza un risposta civile ferma, forte e indignata.

venerdì 12 giugno 2015

Vostra eccellenza

La mediocrità borghese del primo della classe o del capufficio si spaccia, in questo disgraziato paese, per eccellenza.
Stereotipo di questa categoria di dottissimi idioti è, il tuttora inutilmente vivente professor Mario Monti.
Questo pezzo di cretino, un modesto contabile servo di volontà altrui, è stato dipinto, da una stampa ancor più servile e prona, come una specie di genio e salvatore della patria.
In realtà il laido personaggio, digiuno dei più elementari rudimenti di dottrina politica, e animato unicamente dalla volontà di servire gli interessi del capitale finanziario, non ne ha imbroccata una.

  • i suoi provvedimenti sulle pensioni sono stati dichiarati incostituzionali
  • analogamente appare incostituzionale il blocco dei contratti del pubblico impiego
  • sono invece invece contrari alla normativa europea i suoi provvedimenti tesi a rendere la banca obbligatoria per tutti, spacciati per norme antiriciclaggio (che in nessun modo servirebbero a contrastarlo).  
Fior di istituzioni gli hanno dato dunque la patente di cretino e di mascalzone che si è meritata. Ma noi continuiamo a tenercelo come senatore a vita.
Andrebbe linciato.

venerdì 1 maggio 2015

Potenza dell'impotenza


Un effetto l'hanno ottenuto, quello di legittimare, nel senso comune generale, l'aberrante dichiarazione di Alfano che ha testualmente detto che molti delinquenti sono stati preventivamente fermati, con ciò facendo piazza pulita non solo del garantismo puntualmente assicurato alla malavita di stato, ma anche delle più elementari norme di diritto che escluderebbero che si possa essere delinquenti prima di delinquere. Questa generalizzazione preventiva potrà essere estesa a chiunque e non si mancherà di farlo.
Ma il punto, ovviamente non è questo, ma la semplice constatazione che qualcuno si ostina a alzare i livelli di scontro a prescindere dai rapporti di forza concreti.
Il proletariato non può adottare la tattica militare della sua controparte senza andare incontro a una sconfitta certa.
Non occorre essere von Clausewitz per comprendere che nello spostamento di reparti da un capo all'altro della penisola, a seconda delle necessità, lo stato è vincente su qualsivoglia organizzazione di black block.
Il proletariato non vince con truppe aviotrasportate, ma con il controllo permanente del territorio che passa attraverso la costruzione di una rete di sostegno e solidarietà per la quale è necessario un paziente lavoro politico di lunga lena.
Senza questo, le volatili vittorie di qualche radiosa giornata non possono che ritorcersi puntualmente sugli strati popolari, non solo per l'aumento in ragione geometrica della inevitabile repressione, ma soprattutto per la totale messa in mora di ogni loro ragione, sopraffatta dall'egemonia dell'avversario anche all'interno della classe stessa.

Detto questo, non si può non convenire che l'associazione del tema della fame nel mondo con le vetrine expo delle multinazionali costituisce una provocazione grave.
Diciamo di più, questo indegno festival dell'ipocrisia è la riproposizione, fuori tempo massimo, di una dottrina che pensavamo in ritirata e che invece torna all'attacco, quella per cui bisogna riempire ben bene il piatto dei ricchi perché i poveri possano nutrirsi delle briciole che ne cadono.  
Perfino il messaggio del papa per l'inaugurazione dell'Expo sembra ammiccare a questa nefanda teoria di cui, in futuro, dovremo vergognarci come di Auschwitz.
La misura della ributtante ipocrisia che c'è dietro tutto questo, ce la fornisce Pisapia, supposta voce della Milano democratica, che esterna indignazione davanti alla Scala, mentre dietro le sue spalle sfila ingioiellata e in ghingheri la crema di Milano e dell'Italia, decisa, per combattere la fame del mondo, al sacrificio di assistere alla Turandot, sfoggiando toilettes costose come l'intero PIL del Burkina Fasu.
Comprendiamo dunque benissimo, ma senza giustificarlo, che si possa essere indotti a rispondere con un'esplosione di violenza che è, però, implicita ed evidente ammissione di impotenza politica e modesto risarcimento simbolico di una sconfitta vissuta come irreversibile.
Ma la sconfitta non è irreversibile se si avrà l'avvertenza di non prendere scorciatoie e costruire il solo strumento che potrà organizzare e condurre la lotta definitiva e finale di una classe contro l'altra: il Partito Comunista.