Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

L'irresistibile ascesa di Mario Monti & Co.


Qui pubblichiamo ampi stralci di un lunghissimo documento reperibile sul web[http://www.lupin3.it/10 novembre/ritorno_al_reale%5B1%5D.pdf ]. Non sempre condivisibile, e talvolta di prosa faticosa, il testo è  in realtà un collage di articoli (e quindi anche ripetitivo) riconducibile al MoviSol (Movimento per i diritti civili. Solidarietà), un gruppuscolo che è la branca italiana del movimento fondato dall’ambiguo politico americano Lyndon LaRouche. 
Ciononostante lo riteniamo molto interessante perché, scritto nei primi mesi del 2006, anticipa scenari e attori perfettamente attuali.             

Draghi e Rohatyn: attacco a tenaglia contro la Nuova Bretton Woods

Roma 24 gennaio – La recente nomina di Mario Draghi a governatore della Banca d’Italia rappresenta la capitolazione delle istituzioni economiche e politiche italiane agli interessi della grande speculazione internazionale e ai dettami di un liberismo economico-finanziario sempre più selvaggio, ma anche sempre più in bancarotta. Con Draghi in Via Nazionale è partita la fase del Britannia 2! Le banche internazionali e i fondi speculativi hanno ottenuto il disco verde per una nuova avanzata, per dare la caccia a nuove imprese da fagocitare e ai 140 miliardi di risparmio nazionale, e si preparano a fare bottino con la privatizzazione delle pensioni. È la prima volta, nella storia della Banca d’Italia, che il governatore non è stato scelto tra i suoi membri pi rappresentativi, ma è stato direttamente catapultato, con grande fanfara, dalla centrale delle finanza internazionale, dalla Goldman Sachs. Perché? Chi cerca una risposta nelle beghe interne italiane non capirà niente e in cambio invece riceverà in regalo un pacchetto confezionato di manipolazioni.
Draghi rappresenta un atto di “guerra preventiva” nel campo strategico della crisi finanziaria. Il sistema finanziario internazionale è in bancarotta. Le banche centrali hanno finora gestito in coordinazione tra loro la crisi, al servizio degli interessi della grande finanza privata. Ma questa gestione non basta più né potrà reggere gli sconvolgimenti che si prospettano nell’immediato futuro. La bolla speculativa è stata ingigantita a livelli inimmaginabili attraverso le speculazioni immobiliari e soprattutto quella dei prodotti derivati. Basti pensare che una sola banca americana, la JP Morgan Chase, ha ben oltre 50.000 miliardi di dollari in contratti derivati OTC, più di 5 volte il PIL degli USA! L’economia reale sottostante è stata ovunque distrutta, a cominciare dal cosiddetto settore avanzato, cioè l’Europa e il Nordamerica. Ciò che si sta verificando è un vero e proprio crollo. La paralisi produttiva imposta dalle regole di Maastricht è la garanzia di un terremoto finanziario e bancario. La grande finanza internazionale sa bene che, ferme restando le regole della grande speculazione e del liberismo, non ha via d’uscita dalla bancarotta, ma non vuole, ne può, cambiare rotta in quanto questo liberismo selvaggio è la sua anima, la sua essenza. Sa anche che i settori dell’economia reale non possono convivere all’infinito con una crescita cancerogena del debito speculativo. Questo è il motivo per cui ora essa teme la crescente domanda di riorganizzazione del sistema, di una Nuova Bretton Woods, come proposta dall’economista americano Lyndon LaRouche e dal nostro Movimento: una riorganizzazione per bancarotta dell’intero sistema monetario e finanziario internazionale, che reintroduca un sistema di tassi di cambio fissi, che emetta nuovi crediti per grandi investimenti infrastrutturali che rimettano in moto l’economia produttiva e che introduca misure di contenimento e di abolizione delle speculazione. Teme la rivolta di settori statali, industriali, sindacali che possono dire basta alla distruzione dell’economia reale e della società civile produttiva. Teme un ritorno di Franklin D. Roosevelt e del suo New Deal su scala planetaria. Ecco, Draghi rappresenta la mossa preventiva contro questa possibilità.
E’ una mossa globale, non un segnale “italiano”, bensì sistemico.
La finanza internazionale fa così sapere di essere pronta ad un’accelerazione del processo di globalizzazione. Purtroppo molti allocchi nostrani, un po’ di tutte le tendenze, hanno volutamente scambiato l’appoggio dato a Draghi dal Financial Time, dal Wall Street Journal e simili con un benevolo reportage turistico sulla “bella Italia”. L’Italia non ha i mezzi per opporre resistenza e si è lasciata subito convincere che i grandi speculatori internazionali sono meglio dei maneggioni dell’economia nostrani.
Infine, Draghi è l’uomo dei salotti buoni e dei panfili di lusso. Mario Draghi è il “Mr. Britannia”. Il 2 giugno 1992, il “Ciampi’s boy”, allora Direttore Generale del Ministero del Tesoro, guidò il drappello di dirigenti delle Partecipazioni Statali sul “Britannia”, il panfilo della regina Elisabetta II d’Inghilterra, per un incontro con i grandi finanzieri della City di Londra e di Wall Street per svendere l’industria di stato italiana, o per “modernizzarla”, come usavano dire.
Poi a settembre l’attacco speculativo delle stesse finanziarie, coordinate da George Soros, contro il Sistema Monetario Europeo fece svalutare la lira del 30%, regalando ben 15.000 miliardi di lire agli acquirenti-speculatori che acquistavano in dollari. La chiamammo una svendita a prezzi stracciati a cui certi settori della vecchia Democrazia Cristiana e del PSI di Craxi cercarono di opporsi. Invano. In quegli stessi giorni le “mani pulite” realizzarono il grande massacro politico che aprì la porta al neoliberismo selvaggio e al neoconservatorismo di marca americana.
Il «Movimento internazionale per i diritti civili – Solidarietà», fu il primo a denunciare queste sporche operazioni con un ampio memorandum del 14 gennaio 1993. E poi, con un esposto alla magistratura nel 1995, chiedemmo un’indagine sull’attacco alla lira e sull’incontro del Britannia. Le nostre denunce ebbero anche vasta risonanza nei mezzi d’informazione. Negli anni successivi, diventato il regista delle privatizzazioni, Draghi ha trasformato il panorama economico nazionale in un intreccio incestuoso tra banche e imprese. Se si indaga un poco viene subito alla luce che una delle finanziarie favorite nel processo di privatizzazione è stata la Goldman Sachs. Inoltre, uno dei “Draghi’s Boys”, Alberto Giovannini, membro del comitato di esperti del Ministero del Tesoro dall’inizio degli anni Novanta, venne mandato nella dirigenza del fondo LTCM, che fallì clamorosamente nel 1997-8 a causa delle perdite accumulatesoprattutto su contratti finanziari derivati. A quelle sue speculazioni internazionali aveva partecipato persino l’Ufficio Italiano Cambi! Lo stesso Giovannini nel 1997 illustrò alla Commissione Europea “i vantaggi” di aprire i mercati ai derivati.
Nel 2001 Draghi lasciò il Ministero del Tesoro per passare alla vice presidenza di Goldman Sachs, una finanziaria che ricopre un ruolo decisionale centrale nella globalizzazione finanziaria mondiale.
Perché la magistratura, così solerte in certune circostanze, non ha mai avuto il coraggio di indagare sul ruolo della Goldman Sachs e sul ruolo svolto da Draghi nei passati 15 anni di privatiz-zazioni?
Parallelamente all’operazione Draghi, occorre tenere bene in conto un secondo assalto condotto attraverso il banchiere americano Felix Rohatyn, della Lazard Freres, la controparte “democratica” della grande speculazione.
Il compito di questo secondo braccio della tenaglia è mettere in campo proposte e idee che suonano molto simili alla nostra proposta per una Nuova Bretton Woods, ma che in realtà intendono confondere e neutralizzare quelle forze che vorrebbero e dovrebbero coalizzarsi contro la grande speculazione. In questo Rohatyn opera in tandem con George Soros, il promotore della liberalizzazione della droga. Secondo Rohatyn dovrebbero essere le stesse banche e finanziarie a farsi promotrici delle riforme del sistema monetario e finanziario, mentre al tempo stesso continuerebbero le loro operazioni speculative. Secondo lui gli stati, i parlamenti e le autorità governative dovrebbero essere tenute fuori dalla riorganizzazione. È come dire che bisognerebbe lasciare che la mafia, indubbiamente esperta nel crimine organizzato, detti le regole di sicurezza, lasciando fuori lo stato e le forze di polizia.
In Italia Rohatyn e co. fanno perno su De Benedetti e i suoi addentellati anche nella sinistra, mentre la destra politica e liberista esalta la “saggezza” del libero mercato speculativo finanziario. Questo attacco a tenaglia è stato lanciato in forze in Italia soprattutto per soffocare la nostra proposta per una Nuova Bretton Woods, che lo scorso aprile è stata presentata alla Camera dei Deputati da Mario Lettieri della Margherita e da altri 50 parlamentari appartenenti a quasi tutti i partiti, ed è stata approvata dalla stragrande maggioranza del Parlamento,
La stirpe dei Draghi
Febbraio 1992, dicembre 2005. Dalla prima alla seconda Tangentopoli, dall’arresto di Mario Chiesa per le mazzette del pio albergo Trivulzio al crollo di un intero pezzo del sistema economico e finanziario culminato con le dimissioni di Antonio Fazio.
In mezzo tredici anni durante i quali la corruzione non è mai morta, anzi, ha intrapreso nuovi e più innovativi percorsi, le mafie hanno decuplicato i loro già pingui fatturati, lo Stato sociale è stato smantellato, l’economia massacrata a colpi di privatizzazioni selvagge e a prezzi di supersaldi.
E tra pochi mesi si va al voto, con un Prodi quasi certo vincitore e un Giuliano Amato che si prepara per il gran volo verso il Colle più alto di Roma. Quel dottor Sottile che, nel drammatico 1992, fu chiamato a reggere il timone del Governo, dopo il siluramento di Craxi. Ed al ministero del Tesoro regnava il Verbo del direttore generale, Mario Draghi, al quale - scriveva a inizio 2000 nel Gioco dell’Opa il giornalista economico Enrico Cisnetto - «molti imputano di essere persino più potente di Ciampi, cioè un superministro che non ha mai ricevuto alcuna investitura popolare», addirittura «l’uomo più potente d’Italia», secondo un Business Week di fine anni ’90, che lo ha anche visto all’opera tra i vertici della Banca Mondiale. Saprà ora Draghi traghettare la nostra superbucata nave fuori dalla tempesta ed evitarci il naufragio? Cerchiamo di capirlo, passando in rassegna la carriera del nuovo nocchiero di via Nazionale.
TUTTI A BORDO
Partiamo proprio dal mare. Eccoci a bordo del Britannia, il panfilo della regina Elisabetta in rotta lungo le coste tirreniche, dalle acque di Civitavecchia e quelle dell’Argentario. E’ il 2 giugno, festa della Repubblica, sono trascorsi esattamente cento giorni dall’arresto di Chiesa. Ma i potenti, si sa, hanno le antenne ben tese e si organizzano in un baleno. Negli splendidi saloni del panfilo si son dati appuntamento oltre centro tra banchieri, uomini d’affari, pezzi da novanta della finanza internazionale, soprattutto di marca statunitense e anglo-olandese. A guidare la nostra delegazione - raccontano in modo scarno le cronache dell’epoca - proprio lui, Draghi, che ai «signori della City» illustra per filo e per segno il maxi programma di dismissioni da parte dello Stato e di privatizzazioni. Un vero e proprio smantellamento dello Stato imprenditore.
A quel summit, secondo i bene informati, avrebbe partecipato anche l’attuale ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che sul programma Draghi cercò di far da pompiere: «non venne programmata alcuna svendita - osservò - fu solo il prezzo da pagare per entrare tra i primi nel club dell’euro». Più chiari di così…. In perfetta sintonia con l’attuale “avversario” (del Polo) l’allora presidente Iri, Romano Prodi e quello dell’Eni, Franco Barnabè. Pochissime le voci di dissenso. Il napoletano Antonio Parlato, all’epoca sottosegretario al Bilancio, di An, sostenne che Draghi aveva intenzione di portare avanti un progetto di privatizzazioni selvagge. E aggiunse che proprio sul Britannia si sarebbero raggiunti gli accordi per una supersvalutazione della lira.
Guarda caso, tra gli invitati “eccellenti” del Britannia fa capolino George Soros, super finanziere d’assalto di origini ungheresi ma yankee d’adozione, a capo del Quantum Fund e protagonista di una incredibile serie di crac provocati in svariate nazioni nel mirino degli Usa, potendo contare su smisurate liquidità, secondo alcune fonti di origine anche colombiana. E guarda caso, per l’Italia sarà settembre nero, anzi nerissimo, con una svalutazione del 30 per cento che costringerà l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi (direttore generale Lamberto Dini) a prosciugare le risorse della banca centrale (quasi 50 miliardi di dollari) per fronteggiare il maxi attacco speculativo nei confronti della lira. A infilarci pesantemente uno zampino anche Moody’s, l’agenzia di rating che declassò i nostri Bot. Le inchieste per super-aggiotaggio avviate in diverse procure italiane (fra cui Napoli e Roma) sono finite nella classica bolla di sapone. Eppure, anche allora, e come al solito, a rimetterci l’osso del collo sono stati i cittadini-risparmiatori. Craxi puntò l’indice contro «una quantità di capitali speculativi provenienti sia da operatori finanziari che da gruppi economici», parlando di «potenti interessi che pare si siano mossi allo scopo di spezzare le maglie dello Sme», e di un «intreccio di forze e circostanze diverse».
IL SALVATOR SOTTILE
Ad arginare la tempesta arriverà il governo di salute pubblica guidato da Giuliano Amato, il dottor Sottile passato dalla fedeltà craxiana a quella dalemiana. E per guidare il tanto sospirato piano di Privatizzazioni - il solo che potrà salvare la nave Italia dalle tempeste finanziarie - chi potrà esserci mai? Of course, Super Mario Draghi, che in otto anni porterà a casa un bottino da quasi 200 mila miliardi di vecchie lire, vendendo a destra e a manca gli ex gioielli di casa, anzi dello Stato. Una mission messa a segno con grande determinazione, portandoci in testa alla hit internazionale dei ‘privatizzatori’ (secondi solo alla Gran Bretagna dell’amico Tony Blair). Ma, secondo altri “tecnici”, con una politica di scientifica vendita a prezzi stracciati.
Super Mario - appena sceso dal Britannia - dà inizio alla sua guerra. Siamo a metà luglio 1992 quando l’appena battezzato governo Amato dà il via libera alla liquidazione dell’Efim, azienda storica del parastato, gestito coi piedi dai boiardi di Stato ma ancora in grado di esprimere qualcosa. «Draghi fa una piccola finta iniziale -descrive chi lo conosce bene - per congelare i debiti con le banche, anche estere. Ma poi tutto si accomoda, già a fine agosto gli istituti di credito internazionali sono contenti di come procedono le cose e poi verranno soddisfatti man mano».
Peccato che vada disintegrato un patrimonio non da poco, composto da un centinaio di società del gruppo e da migliaia e migliaia di posti di lavoro. Ma si sa, la finanza, soprattutto quella “globalizzata”, non può andar tanto per il… Sottile. Da allora in poi sarà un valzer di dismissioni. E di grandi manovre. Proprio alla fine di quella bollente estate 1992, il governo Amato apre le danze, con la trasformazione in società per azioni dei grandi enti pubblici, Enel, Eni, Ina ed Iri in pole position.
La prima maxi operazione è di un anno dopo, quando il Credito Italiano va all’asta, per la gioia di imprenditori della vecchia e nuova finanza, d’assalto e non. La finanza anglo-americana, quella a bordo del Britannia, gongola, ed un segnale più che significativo arriva con lo sbarco del neo ambasciatore Reginald Bartholomew, che dopo qualche mese di acclimatamento tra i salotti romani dichiara: «continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera agli investimenti esteri».
Dopo cinque anni - dimessi i panni dell’ambasciatore - Bartholomew viene nominato presidente della Merryl Linch Italia, uno dei colossi finanziari made in Usa. Quando la politica & la finanza vanno a braccetto. Detto, fatto, comunque. Le direttive di mr. Reginald sono state seguite a puntino nel corso degli anni ’90. Dalle maxi privatizzazioni targate Telecom (23 mila miliardi) ed Enel (32 mila), passando attraverso un mare di aziende sparse un po’ in tutti i settori, a cominciare dall’agroalimentare che viene letteralmente dato in pasto, è il caso di dirlo, ai big olandesi, inglesi o a stelle e strisce. Arriviamo nel 2000.
L’altro colosso di Stato, l’Eni, è già in avanzata fase di privatizzazione. Manca solo il ramo “immobili”, la ciliegina finale. Ad acquisirne la fetta più grossa, per circa 3000 miliardi delle vecchie lire, è un altro colosso dell’intermediazione finanziaria Usa, Goldman Sachs, tramite il suo dinamicissimo fondo Whitehall, che così entra in possesso - per fare un solo esempio - dell’ex area Eni di San Donato Milanese, 300 mila metri quadrati superappetibili, dove potrebbero essere trasferiti gli storici locali Rai di corso Sempione.
Goldman Sachs, comunque, non si ferma qui, e fa incetta di altri immobili, come quelli della Fondazione Cariplo (e poi, con un altro big Usa, Morgan Stanely, sui patrimoni mattonari di Unim, Ras e Toro). Altro acchiappatutto, il gruppo Carlyle, che ha fatto incetta di immobili anche a Napoli (tra gli azionisti principali, le famiglie Bush e Bin Laden). Secondo le ultime statistiche di fonte Sole 24 Ore (“Scenari Immobiliari”) i gruppi esteri ormai sopravanzano quelli nostrani, 11 mila contro 15 mila miliardi di vecchie lire di patrimonio ex-pubblico: tra i privati nazionali spiccano Ipi (Danilo Coppola), Pirelli Real Estate (Tronchetti Provera), Risanamento (Zunino), Statuto, Ligresti, ovvero la crema mattonara di casa nostra.
THANK YOU, GOLDMAN
Nel 2001 Mario Draghi, compiuta la sua mission come direttore generale del Tesoro e soprattutto responsabile delle privatizzazioni, passa al altro incarico. Non più pubblico, questa volta, ma privato. Non più in Italia ma all’estero. Ad arruolarlo è proprio il colosso a stelle e strisce: a gennaio, infatti, assume la carica di vice presidente della Goldman Sachs International. Anni pieni di successi, tanto che a fine 2004 viene nominato al vertice del “management committee”, l’organismo che pianifica tutte le decisioni del gruppo a livello internazionale, il primo “non statunitense” a tagliare questo traguardo nella storia di Goldman. Il pedigree della super-banca d’affari a stelle e strisce, comunque, può vantare una sfilza di nomi illustri. E torniamo a quel fatidico 1992. Il presidente della Federal Riserve Bank di New York (che fa capo alla Banca centrale americana), Gerald Carrigan, legato a filo doppio con George Soros, si dimette e passa tra le fila della Goldman Sachs, in qualità di presidente dei consiglieri internazionali del gruppo. Tra i consiglieri della stessa banca ha figurato Romano Prodi.
Oggi, al posto di Draghi, siede l’ex commissario Ue Mario Monti. E’ entrato nel gruppo a fine novembre: forse proprio per questo - quando è rimbalzato il suo nome per il vertice Bankitalia - ha fatto un passo indietro. Per un evidente conflitto d’interesse. Da un conflitto all’altro, eccoci sempre all’estero, con le possibili acquisizioni delle nostrane Bnl e Antonveneta da parte del Banco di Bilbao e dell’olandese Abn Ambro, in contrapposizione alle nostrane Unipol (vedi alla voce Consorte) e BPI (vedi alla voce Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani). Ebbene, in entrambi i casi, Goldman Sachs ha svolto il ruolo di “advisor”, valutando positivamente le due offerte straniere. E oggi Fazio osserva: «ho cercato di evitare a tutti i costi la colonizzazione del nostro sistema bancario. Vedrete quel che succederà dopo di me». Val la pena di stare a vedere e, se possibile, di accendere i riflettori.

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Le mafio-massonerie di Bilderberg e Trilateral
I signori della finanza, evidentemente, amano le acque. Vuoi quelle marine, come nel caso della crociera d’affari sul Britannia di Sua Maestà, vuoi quelle, più tranquille, di un bel lago.
Come è successo, ad esempio, sulle rive del Maggiore, in quel di Stresa, dove a giugno 2003 il Gruppo Bilderberg a festeggiato i suoi primi 50 anni. Li ritroviamo lì, in un abbraccio appassionato, i potenti della terra, dall’immancabile Henry Kissinger a David Rockfeller fino a Melinda Gates. E la nostra truppa?
Mista al punto giusto, trasversale che più non si potrebbe. Il meeting del cinquantennio ha visto la partecipazione, sul versante finanziario, di Franco Bernabè, Rodolfo De Benedetti, Mario Draghi, Mario Monti, Tommaso Padoa Schioppa, Riccardo Passera, Paolo Scaroni, Marco Tronchetti Provera. Per la serie: tutti i candidati possibili alla successione di Fazio al vertice di Bankitalia!
Tra gli economisti-politici, i due ultimi ministri dell’Economia nel governo Berlusconi, Domenico Siniscalco e Giulio Tremonti. Ma nel corso degli anni le presenze agli annuali meeting - a partire dal 1982 ad oggi - sono state numerose e di grande prestigio: non ha fatto mancare la sua presenza il gruppo Fiat, con i fratelli Gianni e Umberto Agnelli, Paolo Fresco e l’amico Renato Ruggiero (per pochi mesi al timone del ministero degli Esteri); e poi i banchieri Rainer Masera, al vertice del gruppo Imi San Paolo, e Alessandro Profumo, Confindustria con Innocenzo Cipolletta; e un folto drappello di politici, dai polisti Giorgio La Malfa, Gianni De Michelis e Claudio Martelli (oltre ai già ricordati Tremonti e Siniscalco), agli ulivisti Romano Prodi, Valter Veltroni e Virginio Rognoni.
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Sta di fatto che sugli incontri targati Bilberberg - nel corso dei quali si discute dei destini e degli assetti mondiali - vige il più assoluto riserbo. Sulla stampa ufficiale, nessuna riga. Forse perché, tra gli invitati di lusso, figurano anche alcuni grossi calibri della stampa nazionale, da Ferruccio De Bortoli a Gianni Riotta, fino a Lucio Caracciolo. Manca solo Magdi Allam: sarà per la prossima volta.

Mario Draghi & la lobbies bancaria

… Oggi Draghi è stato premiato con la direzione della Banca d’Italia. «Una scelta di alto profilo» dice Romano Prodi in merito al nuovo capo di Palazzo Koch! E ci credo: il leader della sinistra è stato (e forse lo è ancora) consulente guarda caso proprio della Goldman Sachs (nonché presidente dell’Iri per ben due volte), e uno dei protagonisti della svendita italiana. In tredici anni decine e decine di grosse aziende nostrane passarono in mani straniere (per esempio Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Ferrarelle, e moltissime altre). Quindi non è poi strano che Mario Draghi piaccia tanto a Prodi, anche perché sembrerebbe, e qui il condizionale è d’obbligo, che la campagna elettorale di Romano sia finanziata da una certa Linda Costamagna, una privata signora.
Fin qui nulla di male. Ma se venisse fuori che questa signora è la moglie di Claudio Costamagna, Amministratore delegato della Goldman Sachs per l’Europa, la cosa cambierebbe? Certo che sì. Ma allora…non è che questo colosso - membro della potentissima lobbies bancaria internazionale - ha tutte le intenzioni di privatizzare l’intero Stato, aprendo ulteriormente all’estero (alle sorelle) e controllando il sistema monetario del nostro paese? Questa preoccupazione non è campata in aria, visto che dopo l’incontro sul “Britannia” (tra le cui banche ospiti c’erano proprio i vertici della Goldman) sono iniziate quelle mega privatizzazioni e acquisizioni che hanno depredato e svenduto i patrimoni pubblici. E poi come non preoccuparsi, se il nuovo controllore del sistema monetario e/o bancario (governatore di Bankitalia) italiano e il capo del governo (prossimo) sono finanziati e controllati dalla stessa banca d’affari privata?
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Antonio Fazio e lo scontro tra Opus Dei & Rothschild…

Antonio Fazio ieri si è dimesso dalla carica di governatore di Bankitalia. Qualcuno sta ancora festeggiando, qualcun altro invece - magari nelle oscure stanze dell’Opus Dei di via Bruno Buozzi 73 a Roma - si sta asciugando le lacrime. Dopo 12 anni di mandato lascia il Palazzo Koch di Via Nazionale «per il bene del paese» dicono all’unisono i nostri umili governanti. Cosa farà adesso? Con quale incarico verrà premiato per i suoi servigi alla società e soprattutto per sopperire allo stipendio miliardario (2 miliardi di vecchie lire, pari a oltre 160 milioni al mese)? Al suo illustre predecessore è andata molto bene.
Carlo Azeglio Ciampi oggi ricopre la prestigiosa carica di Presidente della Repubblica. (Ricordiamo che è stato lo stesso Ciampi a voler Fazio come successore. All’epoca Fazio era vicedirettore generale e ha “magicamente” scavalcato il direttore generale che era Lamberto Dini…) Eppure…l’attuale capo dello Stato ha nel suo armadio qualche scheletruccio di troppo! Nel settembre 1992, quando dirigeva la Banca Centrale, al governo, guarda caso, Giuliano Amato, ritardò una speculazione della sterlina da parte del filantropo George Soros contro la lira che ne causò la sua svalutazione del 30%. Nel vano tentativo di arginare l’attacco, l’esperto di finanza Ciampi prosciugò le riserve in valuta estera della Banca d’Italia: ben 48 miliardi di dollari (quasi 100 mila miliardi di vecchie lire)!!! Stranamente pochi mesi prima di questa speculazione criminale, per l’esattezza il 2 giugno 1992, avvenne un incontro segreto a bordo del panfilo reale della regina Elisabetta II d’Inghilterra, il Britannia, al largo di Civitavecchia. ……Se a Ciampi, che ha lasciato svuotare le casse della Banca d’Italia, gli hanno regalato il Quirinale, cosa mai offriranno a Fazio per i suoi servigi? In fin dei conti non ha controllato quello che doveva controllare, non ha impedito quello che doveva impedire (Cirio, Parmalat & co), e per finire ha tentato di scalare quello che non doveva scalare. Per non parlare delle tonnellate di oro (tra le 450 e le 1500 tonnellate) che la Banca d’Italia avrebbe iscritto in bilancio ma che risultano sparite… Insomma diciamolo: un curriculum di tutto rispetto!
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In Francia, per esempio, le grandi manovre di saccheggio hanno trovato un ostacolo nello Stato. In luglio, il governo francese ha difeso con tutte le forze il Gruppo Danone su cui la PepsiCo stava preparando a balzare con un'acquisizione ostile. Un mese dopo, la Francia ha stilato e pubblicato una lista di settori economici che programmaticamente proteggerà da assalti provenienti dall'estero: dalla biotecnologia alla sicurezza e difesa, fino ai casinò. Questa è buona politica sovrana. Prodi e Draghi, siamo sicuri, non seguiranno l'esempio
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Mario Monti il puro passa (strapagato) alla Goldman Sachs

Giorni fa, Gerard Schroeder è stato sepolto da una marea di critiche per aver accettato ora che non è più cancelliere di diventare capo del consiglio dei garanti del gasdotto del Baltico. Questo gasdotto, che evita di passare attraverso la Polonia (ostile a Mosca) e salda un'alleanza strategica tra Berlino e Mosca, è stato voluto dallo stesso Schroeder in accordo con Putin. «Conflitto d'interessi!», strillano i grandi media servili ai poteri forti.
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Urla e strepiti per il «conflitto d'interessi» di Schroeder, pesanti allusioni alla sua disonestà.
Frattanto arriva un'altra notizia, accolta con rispettoso silenzio dalla stampa asservita. Mario Monti, l'uomo-Fiat che è stato commissario europeo alla concorrenza, come Schroeder ha trovato un impiego nel privato. Se lo è «comprato» la Goldman Sachs - prima banca d'affari della nota lobby - per uno stipendio «che non è stato reso noto», ma che non è sbagliato ritenere miliardario. I giornali britannici ricordano che Mario Monti «è celebrato per la sua dedizione nell'aprire i mercati europei alla competizione»
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Piano dei poteri forti per cacciare l’Italia dall’Ue
Per adesso è toccato agli eurodeputati della Lega. Ma è solo il primo passo: in Europa, c’è un piano dei poteri forti per cacciare l'Italia.
Il primo a parlarne è stato Joachim Fels, economista della Morgan Stanley. In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung rilasciata l’8 agosto scorso: proprio il giorno in cui l’agenzia di rating Standard & Poor’s aveva decretato il passaggio dell’economia italiana da “stabile” a “negativa”, preludio al declassamento del nostro debito pubblico. In altri tempi, questo fatto avrebbe costretto il Tesoro ad aumentare gli interessi dei nostri Bot, aggravando il nostro deficit; ma poiché siamo nell’euro, i nostri tassi sono quelli europei. Bassi.
Per questo, Fels disse al giornale tedesco: «Ritengo improbabile che l’Italia esca del sistema monetario europeo di sua volontà. È più probabile che un giorno i paesi che vogliono la stabilità [dell’euro] diranno: noi introduciamo una nuova moneta forte, che chiamiamo Neuro (!). E così gli italiani, e gli altri che diluiscono la qualità e stabilità dell'euro, saranno lasciati fuori».
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Ci si chiederà: che cosa ci vogliono prendere ancora, i banchieri della City e del Bilderberg Club? Facile risposta, viste le sventure di Fiorani e Consorte: vogliono mettere le mani sul risparmio delle famiglie italiane, valutato a 140 miliardi di euro, gestiti dalle banche italiane rifilandoci obbligazioni Parmalat e bond argentini. Ma può essere peggio, se a gestire il risparmio nostro sono quelli del Britannia.
Vediamo la strategia. Bernard Connolly, il capo-economista della AIG (il più grosso gruppo assicurativo mondiale) scrive su Wall Street Italia un articolo significativo: “L’Italia può uscire dall’euro?”. E traccia un parallelo fra noi e l’Argentina.
Dice Connolly: come l’Argentina agganciò la sua moneta al dollaro - moneta troppo forte per la sua fragile economia - così l’Italia si è voluta agganciare all’euro per darsi una disciplina di spesa. Ma così, l’Italia si è privata delle sue armi tradizionali per salvarsi: svalutazioni ricorrenti per rendere le sue merci a buon mercato nel mondo, e la riduzione del debito pubblico attraverso l’inflazione.
Ormai, la sola strada che resta agli italiani per mettere ordine nei conti pubblici è “tagliare i salari”, e attuare una politica deflazionista dura.
Sicché l’Italia ha davanti la prospettiva di “un orribile martirio”, aggiunge Connolly: dovrà andare in recessione, e lo Stato dovrà chiedere al popolo italiano «di sopportare l’insopportabile». Ma a causa della recessione provocata dalla moneta forte, l’introito fiscale diminuirà, e così crescerà “orrendamente” il debito pubblico, che è già al 105 per cento del Pil. Perché in realtà l’Italia dovrebbe svalutare del 20 per cento, e non può, poiché è nell’euro.
Subito dopo Martin Wolf, direttore del Financial Times nonché membro del Bilderberg (la società segreta dei miliardari delle due sponde dell'Atlantico) rilanciava lo “scenario Argentina” per il nostro Paese. E diceva: se vuol restare nell’euro, l’Italia deve darsi «un governo tecnocratico con largo appoggio popolare» (sic) che tagli i salari all’osso: il programma che da quel momento viene adottato da Montezemolo.
Ma Connolly diceva un’altra cosa: l’Italia deve uscire dall’euro, diciamo così, per il suo bene. La stessa cosa ha detto recentemente la Lega. Ci converrebbe infatti, salvo un piccolo particolare: i nostri debiti sono in euro, e con un ritorno alla lira svalutata, dovremmo continuare a pagare gli interessi in euro.
Ci siamo indebitati in euro, si noti, senza necessità: perché i risparmiatori italiani hanno sempre acquistato i Bot italiani, e hanno i mezzi per farlo. Invece Ciampi, sia come governatore di Bankitalia sia come ministro e premier, ha emesso una quantità enorme di Bot che ha venduto sui mercati europei. La metà dei titoli che galleggiano sul mercato degli eurobond è costituito dai nostri Bot in moneta forte.
Ed è precisamente questo che ci rende fragili di fronte alle manovre. L’autunno scorso la Banca Centrale Europea ha intimato che non accetterà più buoni del Tesoro di Stati che non abbiano un rating superiore ad A-. L’intimazione apparentemente era mirata alla Grecia, che ha un rating A; anch’essa si prospetta uno scenario argentino. Ma la Grecia non ha tanto debito all’estero come noi. Il vero bersaglio era l’Italia: proprio allora la solita Standard & Poor’s ci aveva declassato i Bot ad AA- “negativo”, peggio del Portogallo (AA- “stabile”).
Che cosa vuol dire? Nel succo, vuol vuol dire questo: che non ci permetteranno di abbandonare l’euro. Perché se l’Italia torna alla lira, può fare davvero come l'Argentina: ripudiare il suo debito in euro, dichiarare fallimento, e lasciare chi detiene i nostri eurobond con pacchi di carta straccia. Ma lorsignori stranieri, che hanno i nostri eurobond, non ce lo lasceranno fare.
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Oggi l’Italia non può più avere una politica monetaria sovrana, e deve accettare i tassi d’interesse imposti dalla Banca Centrale Europea: e i tassi europei stanno salendo, aggravando il debito pubblico italiano. Sicché, prevede Lachman, le agenzie di rating declasseranno di nuovo il debito italiano. Oggi l’Italia essendo nell’euro, non è costretta a rialzare gli interessi come dovrebbe, perché comunque la Banca Centrale europea la salva, con i suoi tassi relativamente bassi e uguali per tutti i paesi-euro.
Di fatto, ciò significa che sono gli altri paesi ad accollarsi il costo-Italia, accettando Bot a tassi d’interesse più bassi di quelli che imporrebbero i mercati finanziari.
E qui, ecco un’altra analogia con l’Argentina. Anche l’Argentina continuò a confidare che il Fondo Monetario Internazionale avrebbe compensato per sempre la sua debolezza economica. «L’Italia farebbe un grave errore se rimandasse ancora le dolorose riforme di mercato e confidasse nell’indulgenza indefinita della Banca Centrale Europea».
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