Questo blog è intitolato al mito di fondazione della repubblica.
Immagine orribile come una crocifissione, dunque un simbolo.
Monito all'arroganza del potere, Piazzale Loreto ricorda che ogni tragedia contiene, fin dalle prime battute del prologo, la catarsi finale.
Né vale, per sottrarsi all'esigenze del copione, cercare di volgere la tragedia in commedia.
Ci ha provato, al di là del Mediterraneo, il colonnello Gheddafi, speranzoso che il suo circo di cavalieri berberi e ragazze a noleggio bastasse a buttarla in burletta e ad ottenergli l'uscita di scena che si riserva al nonno rincoglionito.
Non è stato così, i suoi amici d'occidente, già allegri compagnoni di goliardici eccessi, hanno provveduto a consegnarlo alla folla, per un opportuno linciaggio che ne chiudesse per sempre, e a ogni buon conto, la bocca.
I conti - e i banchieri se ne intendono - prima o poi si devono fare, ma prima di arrivare al fallimento è meglio lasciare all'azienda il tempo di portare avanti un po' del lavoro sporco che gli hai commissionato.
La soluzione del problema dell'emigrazione subsahariana, ad esempio.
E se si pensa che con la morte, il colonnello abbia pagato il fio di tutti i suoi delitti, ebbene, ci si sbaglia.
Le tecniche da genocidio sperimentate sui migranti, infatti, non gli sono state messe in conto, prova ne sia che questa operazione, commissionata e ben pagata dai governi d'Europa, sarà proseguita, malamente imbellettata di cosmesi democratica, dalla premiata ditta dei suoi successori.
Anche il nostro vecchio ganimede sta per essere licenziato a calci in culo dagli amici di un tempo.
Anche a lui lasciano giusto il tempo di portare il più avanti possibile il lavoro sporco: non mandare in pensione i vecchi (per far lavorare i giovani), licenziare (per assumere), far pagare ai poveri (i debiti dei ricchi).
Naturalmente, come è stato per i libici, si vuol dare agli italiani l'illusione di essere loro a sbarazzersene, in modo che anche qui adeguati successori possano proseguirne, magari inventando qualche premio di consolazione, la politica in presa diretta del capitale finanziario.
Comunque la va a poche e il benservito è dietro l'angolo. Ogni tentativo di resistenza non farà che dare la stura a una riserva inesauribile di scandali (l'amico Putin ne deve avere di documentate chicche, da dare in cambio di qualche buon affare!) che lo travolgeranno con (ulteriore) ignominia.
Dal che ne discende, che sarà saggio non festeggiare l'annunciato 25 luglio, ma organizzarci per l'immancabile 8 settembre.
Quello che deve essere chiaro è che il patetico dittatorello che lascia la scena, non viene giubilato in grazia dei suoi vizi privati, della sua concezione proprietaria della cosa pubblica o della sua idea feudale del diritto, ma perché - ormai scardinata la Costituzione - ha esaurito il suo compito.Ormai non serve più e, una volta liquidato, si provvederà , in luogo di porvi rimedio, a confinare l'origine di danni che saranno operanti per un altro mezzo secolo, nel tempo mitico in cui agivano titani ormai sconfitti (Mussolini, Craxi, Berlusconi).
Con questo sistema il capitale finanziario e industriale (che c'è sempre) addossa le colpe dei disastri che provoca ai propri camerieri (che ogni tanto licenzia) e continua indisturbato a perseguire cinicamente la massimazione del profitto.
Eccoci perciò a un cambio della guardia che esige lo sprezzo del pericolo e la destrezza di un funambolo.
Rullano, a propiziare l'esercizio, i tamburi mediatici.
In realtà, più che di un'acrobazia, si tratta di un gioco di prestigio, che esige che l'attenzione del pubblico sia distolta dal punto in cui si fa trucco.
Ecco allora che i riflettori convergono sulle puttane e sui rutti digestivi del duce e dei suoi gerarchi, o sull'ultimo salto nel cerchio infuocato dello starace di turno, che inorgoglito da immeritato straquadagno, o reso baldanzoso dalla cocaina, mostra goffamente i muscoli in diretta.
L'intento è quello di farci credere di essere governati dallo sceneggiatore dei film di Pierino e che tutto si possa risolvere lavando i pavimenti con la creolina e arrieggiando la camera.
Ma nelle case di tanta gente, non c'è la farsa, c'è il dramma della miseria, della mancanza dei soldi per l'affitto, per le bollette di luce e gas o per pagare gli studi dei figli.
Tutto, per i poveri, diventa più difficile, anche ammalarsi, anche morire.
Eppure a questa gente si ha il coraggio di dire che è, fin'ora, vissuta al di sopra dei suoi mezzi, che occorre tirare ulteriormente la cinghia, che ce lo chiede l'Europa.A mezze parole si fa capire che non si vuol cambiare governo per opporre un netto rifiuto alle pretese rapaci delle banche d'Europa e per intimare l'alt alle disastrose politiche liberiste, ma per ubbidirne ai diktat e implementare il piano d'arrembaggio dei beni comuni, con maggior autorevolezza.
Eppure bisognerebbe fare attenzione, perché si ha a che fare con gente ormai disperata.
Ma può darsi che in Parlamento - un parlamento fatto per governare e non più per rappresentare - non si abbia la minima idea di come vivano tanti italiani.
Con una lodevole eccezione: uno dei più meschini tirapiedi di Marchionne, persona che non ha mai dato prova, nell'esercizio delle sue importanti funzioni, della minima attitudine alle previsioni, rispolverando il suo antico e infallibile fiuto d'accattone, ha di recente ricominciato a sentire odore di sangue e merda.
Per una volta potrebbe non sbagliarsi, l'esasperazione conduce a gesti estremi, comprensibili anche se controproducenti.
Ma non di questo abbiamo bisogno, bensì del dissenso di massa, fermo e, fino a quando è possibile, non violento contro l'impostazione liberista di politiche che dovrebbero risolvere la crisi determinata proprio dalle impostazioni liberiste.
Altolà, così non si va da nessuna parte, che alla guida ci sia Berlusconi o Vendola (e figuriamoci, Montezemolo).
La cosiddetta sinistra non ha bisogno d'unità (che può servire a difendersi quando c'è qualcosa da difendere), ma della divisione necessaria per andare al contrattacco su obbiettivi precisi (solo contrattaccando possiamo recuperare un po' di ciò che abbiamo perduto).
La prima discriminante deve essere la lettera della BCE.
Abbiamo lottato contro l'occupazione nazista, non ci faremo occupare da una banca.
E qui i partigiani si distingueranno dai collaborazionisti.
Immagine orribile come una crocifissione, dunque un simbolo.
Monito all'arroganza del potere, Piazzale Loreto ricorda che ogni tragedia contiene, fin dalle prime battute del prologo, la catarsi finale.
Né vale, per sottrarsi all'esigenze del copione, cercare di volgere la tragedia in commedia.
Ci ha provato, al di là del Mediterraneo, il colonnello Gheddafi, speranzoso che il suo circo di cavalieri berberi e ragazze a noleggio bastasse a buttarla in burletta e ad ottenergli l'uscita di scena che si riserva al nonno rincoglionito.
Non è stato così, i suoi amici d'occidente, già allegri compagnoni di goliardici eccessi, hanno provveduto a consegnarlo alla folla, per un opportuno linciaggio che ne chiudesse per sempre, e a ogni buon conto, la bocca.
I conti - e i banchieri se ne intendono - prima o poi si devono fare, ma prima di arrivare al fallimento è meglio lasciare all'azienda il tempo di portare avanti un po' del lavoro sporco che gli hai commissionato.
La soluzione del problema dell'emigrazione subsahariana, ad esempio.
E se si pensa che con la morte, il colonnello abbia pagato il fio di tutti i suoi delitti, ebbene, ci si sbaglia.
Le tecniche da genocidio sperimentate sui migranti, infatti, non gli sono state messe in conto, prova ne sia che questa operazione, commissionata e ben pagata dai governi d'Europa, sarà proseguita, malamente imbellettata di cosmesi democratica, dalla premiata ditta dei suoi successori.
Anche il nostro vecchio ganimede sta per essere licenziato a calci in culo dagli amici di un tempo.
Anche a lui lasciano giusto il tempo di portare il più avanti possibile il lavoro sporco: non mandare in pensione i vecchi (per far lavorare i giovani), licenziare (per assumere), far pagare ai poveri (i debiti dei ricchi).
Naturalmente, come è stato per i libici, si vuol dare agli italiani l'illusione di essere loro a sbarazzersene, in modo che anche qui adeguati successori possano proseguirne, magari inventando qualche premio di consolazione, la politica in presa diretta del capitale finanziario.
Comunque la va a poche e il benservito è dietro l'angolo. Ogni tentativo di resistenza non farà che dare la stura a una riserva inesauribile di scandali (l'amico Putin ne deve avere di documentate chicche, da dare in cambio di qualche buon affare!) che lo travolgeranno con (ulteriore) ignominia.
Dal che ne discende, che sarà saggio non festeggiare l'annunciato 25 luglio, ma organizzarci per l'immancabile 8 settembre.
Quello che deve essere chiaro è che il patetico dittatorello che lascia la scena, non viene giubilato in grazia dei suoi vizi privati, della sua concezione proprietaria della cosa pubblica o della sua idea feudale del diritto, ma perché - ormai scardinata la Costituzione - ha esaurito il suo compito.Ormai non serve più e, una volta liquidato, si provvederà , in luogo di porvi rimedio, a confinare l'origine di danni che saranno operanti per un altro mezzo secolo, nel tempo mitico in cui agivano titani ormai sconfitti (Mussolini, Craxi, Berlusconi).
Con questo sistema il capitale finanziario e industriale (che c'è sempre) addossa le colpe dei disastri che provoca ai propri camerieri (che ogni tanto licenzia) e continua indisturbato a perseguire cinicamente la massimazione del profitto.
Eccoci perciò a un cambio della guardia che esige lo sprezzo del pericolo e la destrezza di un funambolo.
Rullano, a propiziare l'esercizio, i tamburi mediatici.
In realtà, più che di un'acrobazia, si tratta di un gioco di prestigio, che esige che l'attenzione del pubblico sia distolta dal punto in cui si fa trucco.
Ecco allora che i riflettori convergono sulle puttane e sui rutti digestivi del duce e dei suoi gerarchi, o sull'ultimo salto nel cerchio infuocato dello starace di turno, che inorgoglito da immeritato straquadagno, o reso baldanzoso dalla cocaina, mostra goffamente i muscoli in diretta.
L'intento è quello di farci credere di essere governati dallo sceneggiatore dei film di Pierino e che tutto si possa risolvere lavando i pavimenti con la creolina e arrieggiando la camera.
Ma nelle case di tanta gente, non c'è la farsa, c'è il dramma della miseria, della mancanza dei soldi per l'affitto, per le bollette di luce e gas o per pagare gli studi dei figli.
Tutto, per i poveri, diventa più difficile, anche ammalarsi, anche morire.
Eppure a questa gente si ha il coraggio di dire che è, fin'ora, vissuta al di sopra dei suoi mezzi, che occorre tirare ulteriormente la cinghia, che ce lo chiede l'Europa.A mezze parole si fa capire che non si vuol cambiare governo per opporre un netto rifiuto alle pretese rapaci delle banche d'Europa e per intimare l'alt alle disastrose politiche liberiste, ma per ubbidirne ai diktat e implementare il piano d'arrembaggio dei beni comuni, con maggior autorevolezza.
Eppure bisognerebbe fare attenzione, perché si ha a che fare con gente ormai disperata.
Ma può darsi che in Parlamento - un parlamento fatto per governare e non più per rappresentare - non si abbia la minima idea di come vivano tanti italiani.
Con una lodevole eccezione: uno dei più meschini tirapiedi di Marchionne, persona che non ha mai dato prova, nell'esercizio delle sue importanti funzioni, della minima attitudine alle previsioni, rispolverando il suo antico e infallibile fiuto d'accattone, ha di recente ricominciato a sentire odore di sangue e merda.
Per una volta potrebbe non sbagliarsi, l'esasperazione conduce a gesti estremi, comprensibili anche se controproducenti.
Ma non di questo abbiamo bisogno, bensì del dissenso di massa, fermo e, fino a quando è possibile, non violento contro l'impostazione liberista di politiche che dovrebbero risolvere la crisi determinata proprio dalle impostazioni liberiste.
Altolà, così non si va da nessuna parte, che alla guida ci sia Berlusconi o Vendola (e figuriamoci, Montezemolo).
La cosiddetta sinistra non ha bisogno d'unità (che può servire a difendersi quando c'è qualcosa da difendere), ma della divisione necessaria per andare al contrattacco su obbiettivi precisi (solo contrattaccando possiamo recuperare un po' di ciò che abbiamo perduto).
La prima discriminante deve essere la lettera della BCE.
Abbiamo lottato contro l'occupazione nazista, non ci faremo occupare da una banca.
E qui i partigiani si distingueranno dai collaborazionisti.