Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)
giovedì 27 dicembre 2012
Intervista a Maurizio Landini
«Arcaico è chi ha riportato i diritti dei lavoratori a livelli ottocenteschi»
Come risponde a Monti che nella conferenza di fine anno ha dichiarato che la Cgil è una forza che difende posizioni “nobilmente arcaiche ”?’
Trovo che se si vuole essere moderni bisognerebbe fare una legge sulla rappresentanza, cosa che il governo Monti si è ben guardato dal fare. Considero che il fatto che i lavoratori non possano votare i loro accordi e non possano scegliersi i propri sindacati sia effettivamente arcaico, significa non avere applicato dopo sessant’anni la nostra Costituzione. Oggi questa cosa serve a chi vuole cancellare il contratto nazionale di lavoro e i diritti. Inviterei Monti a farsi un giro per le fabbriche, e non quando sono imbandite a festa ma quando realmente funzionano, e si accorgerebbe che stiamo tornando indietro, verso l’Ottocento, per le condizioni di vita e di lavoro delle persone.
Un bilancio negativo insomma
Penso che i provvedimenti presi sulle pensioni e sul mercato del lavoro siano le cose peggiori e più vecchie che si possano fare. La modernità e l’innovazione sarebbero quelle di applicare la nostra Costituzione, sia nel campo delle libertà che nel campo economico e politico. La democrazia e la sua estensione è la cosa più moderna che c’è. Mentre oggi c’è poca democrazia ed è negata soprattutto nei luoghi di lavoro.
Una cosa buona di questo governo dimissionario?
L’unica cosa positiva fatta è stato ridare credibilità a questo paese dopo il governo Berlusconi. Chiunque avesse sostituito Berlusconi avrebbe recuperato la credibilità. Sul piano internazionale e europeo c’è stato un netto miglioramento. Io apprezzo anche le scelte che in queste ore sta facendo Monti. Un elemento di chiarezza nella politica. Se c’è un punto che deve essere superato è l’ambiguità. Andare a Melfi a dire che Marchionne è un bravo imprenditore, dire alle forze politiche di sostenere il suo progetto anche se non si candida è senz’altro un elemento di chiarezza che fa emergere una certa posizione e una certa visione. E la politica è questo. Mi auguro che le forze politiche che vogliono governare questo paese in maniera alternativa dicano quello che vogliono fare. Rischiamo che il sistema industriale di questo paese salti. Non solo il settore auto, ma anche quello siderurgico, la cantieristica, il settore elettrodomestico. Non c’è stata una politica industriale degna di questo nome. Pensare che per competere si riducano i diritti e i salari e si estenda la precarietà e i licenziamenti non è assolutamente la strada che può portare fuori dalla crisi. Sono altre le scelte che devono essere fatte. Anche sull’Europa: non può essere un’unione basata solo sulla moneta ma anche un’unione sociale. Non mi pare che il governo Monti abbia brillato in novità. Bisogna rimettere al centro lavoro e democrazia. La Fiat sta violando leggi e principi della nostra Costituzione. Primo punto: chiunque voglia candidarsi a guida dovrebbe rispondere se vogliono applicare i principi di fondo della nostra costituzione.
Al di là degli auspici pensa che possa esserci un cambiamento di sostanza? Si possono ribaltare certi atteggiamenti?
Devono essere affrontati questi temi. Altrimenti l’arretramento progressivo è inevitabile. Il nuovo governo si deve porre il problema di un intervento pubblico nell’economia. Da questa situazione non si esce senza un piano straordinario degli investimenti pubblici e privati. E entrambi sono diminuiti. La siderurgia è un nodo fondamentale. La banda larga e la mobilità sono altri nodi strategici, visto il ritardo tecnologico. Poi le energie rinnovabili. Serve una giustizia sociale che oggi non c’è. Combattere il fisco significa redistribuire a chi in questi anni ha pagato. Significa fare una patrimoniale che è anche una lotta alla malavita organizzata che controlla parte dell’economia reale. Serve investire sulla ricerca e sulla scuola pubblica e rendere la macchina meno burocratica. E sul piano sociale e sindacale serve una legge sulla rappresentanza. In questi ultimi tre-quattro anni abbiamo assistito a contratti separati. Nessuno ha una bacchetta magica ma c’è un battaglia da fare per superare la precarietà. Bisogna cambiare l’agenda di questo paese visto che Monti la propone per il governo futuro. Mi auguro che durante la campagna elettorale i contendenti chiariscano che cosa intendono fare per il paese a livello industriale e lavorativo e democratico. In questo paese non mancano i soldi, ma manca un sistema di redistribuzione. Queste sono le scelte che dovrebbero avere la priorità in un momento di rischio di chiusura e la crisi. Noi come Fiom non volevamo sostituirci alla politica, ma dirle che c’era un problema di rappresentare gli interessi delle persone che lavorano e dei giovani.
Non le seccano un po’ parole come conservazione e arcaicità?
È un periodo in cui le parole rischiano di perdere il loro significato. Noi abbiamo fatto una battaglia moderata. Noi stiamo difendendo la nostra Costituzione. Sinceramente se uno mi dice che per difendere la costituzione sono un conservatore allora si, lo sono. Non è mai stata applicata in sessant’anni di vita che ha. Se l’innovazione sarebbe Marchionne, come il presidente Monti ha voluto rimarcare, vorrei far notare a tutti che queste politiche sono state fatte negli Stati Uniti tanti anni fa. Il mercato decide tutto. Ci sono tanti singoli lavoratori in lotta fra di loro. Se la modernità è chiudere stabilimenti e spostare la produzione in altri paesi allora non so cosa voglia dire questa parola. Non mi pare che quello fatto dalla Fiat in questi due anni sia da conservare. È un modo antico di guardare le cose. Monti invece di farci entrare nel 2000 rischia di farci tornare all’ottocento.
www.controlacrisi.org – 24.12.12
martedì 25 dicembre 2012
sfratto
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venerdì 21 dicembre 2012
giovedì 20 dicembre 2012
per essere precisi
Conti alla mano, abbiamo constatato che il gettito della sciagurata IMU è servito per salvare il Monte dei Paschi di Siena.
Il rigore del tecnico Monti è arrivato ormai a colpire i consumi alimentari delle persone, ma continua a premiare la finanza allegra dei suoi colleghi banchieri.
Chiama salvitalia i decreti salvabanche, e c'è chi gli crede.
Questa volta ha salvato MPS.
Non sappiamo se nella fallimentare gestione di Montepaschi ci sia qualche zampino politico, ma se ci dovesse essere, questa volta non si deve guardare a Berlusconi.
Fassino, infatti, è un gran distratto, e di Siena si ricorda solo il panforte. Se no, quel giorno famoso, avrebbe detto: abbiamo un'altra banca!
martedì 18 dicembre 2012
Sunset Boulevard
good
by,
nichi.
Allo
scambio simbolico – libertà civili al posto di welfare - ci
aveva provato per primo Zapatero, e le urne lo hanno pensionato.
Adesso,
rimasti a culo nudo per la svolta liberista postelettorale di
Hollande, ci provano i socialisti francesi che pensano di far
dimenticare il disastro sociale proponendo il matrimonio per tutti
e il voto per gli emigrati.
Se
questa è la risposta alla crisi, il trionfo di Marine Le Pen nei
distretti industriali in smobilitazione è certo.
Da
noi, invece, ci proverà Vendola, che si è legato con un accordo
capestro ad un Bersani che non vuole cambiare una virgola alla
politica sociale di Monti e al modello di relazioni industriali di
Marchionne.
Come
si è detto, lo scambio non funziona, neanche quando avviene,
figuriamoci poi, se di mezzo c'è pure Rosy Bindi.
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domenica 16 dicembre 2012
memorial pinelli
Mark Adin intervista Claudia Pinelli
dal blog di daniele barbieri
dal blog di daniele barbieri
Al citofono suonare Pinelli – di Mark Adin
15 dicembre 2012 di DB
Ci sono dolori che vanno tenuti stretti come madri, e ricordi che diventano nel tempo tatuaggi. Sono identità, giuramento, prima pietra, sguardo nel buio.
Mi stupisce sempre constatare quanto sia viva quella indissolubilità di fatti: la bomba e il volo di Pino. Immaginare, quasi percepire il rumore dello schianto del corpo, il suono, sordo e spaventoso, della violenza di Stato. Opprime dopo quarantatrè anni esattamente come quei giorni.
Per questo, arrivare davanti a un condominio di Milano, scendere dalla macchina nel vuoto di persone del dopocena metropolitano e cercare sulla pulsantiera del citofono quel nome, Pinelli, attiva un flashback che mi emoziona.
Evito l’ascensore, Claudia è sulla porta ad accogliermi.
Ci siamo scritti alla svelta, ci siamo sentiti telefonicamente una volta soltanto, mai incontrati prima. Quella di Claudia, una delle due figlie di Giuseppe Pinelli, è l’abitazione di una famiglia di impiegati quietamente milanese, così apparentemente simile ad altre. Così simile alla mia.
Rinuncio subito alla scaletta delle domande che mi ero preparato e cerco di seguire, per l’intervista, solo reciproche sensazioni.
<<Durante il fermo di mio padre, che si protrasse ben oltre i limiti di legge – e quindi in stato di palese illegalità che tengo a sottolineare – giunsero a casa nostra alcuni funzionari di polizia per una perquisizione domiciliare. Frugarono dovunque, aprendo persino i pacchi dei nostri regali, già confezionati in occasione di un Natale che sarebbe arrivato in una decina di giorni. Io e mia sorella Silvia avevamo nove e otto anni. Mia madre tentava di rassicurarci per l’assenza di Pino, che sapevamo essere in questura: “Massì, lo tengono lì per un po’e poi ce lo rimandano a casa… Gli faranno prendere un bello spaghetto, ma poi…” Ma poi non l’avremmo più rivisto>>
Claudia, durante tutto il tempo dell’intervista, chiamerà i suoi genitori Pino e Licia, e mai mamma e papà. A una mia precisa domanda, risponde con la fatica e l’intensità di chi cerca di dominare un proprio fatto emotivo, dice che usa fare così per “proteggersi” dalla sopraffazione affettiva.
<<Li chiamo in questo modo – accenna un sorriso tenerissimo – per… “tenerli a bada”…
Tre notti dopo, era la notte tra il 15 e il 16, Licia ci ha svegliato, a me e mia sorella, e affidato ad amici di famiglia coi quali saremmo poi state per qualche giorno. Non abbiamo neppure partecipato ai funerali. Licia ci ha sempre protetto, sempre.
Cambiammo casa, cambiammo scuola. Frequentavamo la Casa del Sole, un istituto scolastico milanese che garantiva il “tempo pieno”. Ricordo un fotografo che si era intrufolato per fotografarci, noi le figlie di Pino, per rubare una foto. Ma fu l’unico episodio spiacevole. La nostra, in fondo, fu una infanzia relativamente normale. Licia ha sempre fatto da scudo.>>
Siamo seduti entrambi sullo stesso divano: io ad un capo e lei all’altro. E’ rannicchiata nell’angolo, le braccia conserte e le gambe accavallate. Il compagno e la figlia, una ragazzina bella della sua incontenibile energia, appaiono e scompaiono discretamente, più volte, nella stanza.
Il tema dell’incontro con la famiglia del commissario Calabresi, voluto da Napolitano, è inevitabile.
<<Perché abbiamo accettato l’invito?>>
Compare Millo, gattone sontuoso e nero.
<<Perché si riparlasse di Pino. E’ stata una scelta di cui sono stata e resto convinta. Qualcuno parlò di riappacificazione – a sproposito – e altri di riabilitazione, ma non sono d’accordo. Pino non aveva bisogno di essere riabilitato per il semplice fatto che non ha mai commesso nulla di illegale, è stato subito scagionato da ogni accusa dagli stessi accusatori. Come si può parlare di riabilitazione? Da che cosa? Può un innocente essere riabilitato? Con quella cerimonia voluta dal Presidente, se mai, è stato sdoganata la sua figura di uomo innocente e “due volte vittima”, come lo stesso Napolitano ha ricordato con parole per noi importanti. Eravamo lì, io e Licia, per avere quel minimo di giustizia possibile, soprattutto per mia madre, per tutto quello che ha passato. E’ stato un vero e proprio atto di giustizia reso a Licia vivente, l’unico!, che certo non risarcisce, ma è stato sicuramente importante. Molti hanno parlato dell’incontro tra noi e i Calabresi come un atto di riappacificazione, ma anche questo è un errore: non c’è mai stata guerra, perché le famiglie non c’entrano, ma non c’è stata nemmeno vicinanza, per lo stesso motivo. Non esiste una sorta di comunanza nello status di vittime, non siamo assimilabili in nulla, non abbiamo costruito alcun rapporto reciproco. Il trattamento riservato a Pino non è certo lo stesso riservato a Calabresi, Pino non lo faranno santo. Diciamo che quel giorno al Quirinale ci è stata restituita, dopo anni, la sensazione di quello che potrebbe essere vivere in uno stato di diritto. >>
Il gatto Millo salta in braccio alla padrona, le si mette al collo e mi guarda. Noto qualche somiglianza tra i due: forse è un senso di naturale indipendenza, forse l’atteggiamento pronto alla difensiva, se mai occorresse.
<<Quel giorno è stato importante anche perché, per la prima volta dopo quarant’anni, abbiamo incontrato i famigliari e alcuni sopravvissuti della strage alla Banca dell’Agricoltura. E con loro abbiamo iniziato un percorso di testimonianza e di memoria. Si sa: chi ha vissuto quei tempi man mano non ci sarà più, e questo non deve lasciare un vuoto >>
Il compagno di Claudia ha un bel viso giovanile, impreziosito dai capelli bianchi, se ne sta in disparte e la osserva parlare, esprimendo con gli occhi affettuoso sostegno, senza mai intervenire.
<<Siamo sempre state orgogliose, io e Silvia, forti della forza di Licia. Dovemmo capire tutto, alcune volte solo intuendo. In una situazione del genere, con ciò che per noi comportò, perdi il padre e in un certo senso anche la madre, impegnata a far fronte a ogni tipo di pressione. Non so dire dove Licia abbia trovato la forza, ma ne ha avuta tanta, anche per noi.
La nostra conversazione non segue un percorso, lasciamo che la guidino le emozioni, a ruota libera.
Casa nostra era, da che mi ricordi, un porto di mare. Pino accoglieva, la casa era sempre aperta, faceva da mangiare lui per tutti. Pino era “ponte” tra i vecchi anarchici e i giovani delle nuove generazioni. Riusciva a tenere insieme due mondi perché li capiva entrambi. Il suo primo incontro con l’anarchismo lo ebbe, ancora bambino, quando per dare una mano in casa trovò un lavoro presso un anarchico che gli diede da leggere i primi libri. Poi fu come una malattia, quella dei libri, casa nostra era piena di libri. Prese a militare nel movimento anarchico: dibattiti, antimilitarismo, non-violenza, il Circolo del Ponte della Ghisolfa, la Croce Nera Anarchica, l’USI e l’anarcosindacalismo…, in una visione del mondo che lo portò in contatto con persone di ambienti e ideologie diverse soprattutto sui temi comuni della non violenza e dell’obiezione di coscienza. Giuseppe Gozzini, primo obiettore di coscienza cattolico in Italia, che per questo finì i galera, in una lettera ai giornali subito dopo la morte di Pino scrive “… lui, ateo, aiutava i cristiani a credere; lui, operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici…” Tanta passione politica di un uomo pacifico, alla luce del sole.
Dopo la tragedia, la violenza ulteriore delle calunnie su Pino, poi qualcosa pian piano cominciò a cambiare, qualcosa di inedito stava prendendo forma. Ricordo che, nel tragitto da casa nostra alla scuola, in pullman, guardando dai finestrini, iniziai a leggere scritte sui muri che dicevano: “Pinelli assassinato, la strage è di stato”. Era la coscienza civile, l’inchiesta, la solidarietà. Era tutto lì da vedere, da leggere sui muri parlanti di Milano. >>
Penso ai miei figli, penso a loro e a come potrebbero affrontare un simile dramma. Come si può spiegare a dei ragazzi un fatto del genere? Come glielo si dice? Claudia sorride:
<<Mia figlia, quella più grande, a sei anni, un giorno ha chiesto a Licia, senza troppi preamboli, in modo diretto come fanno i bambini, senza complessi, come fosse morto il nonno. Licia le disse: “Chiedilo alla mamma” e con lei ho fatto un percorso, anche doloroso, di ricostruzione e di restituzione di quel nonno che non ha potuto conoscere. La più piccola delle mie figlie, per sua stessa iniziativa, elaborò invece una soluzione personalissima, di fantasia: “Mio nonno era partigiano. E’ morto perché c’era la guerra”. Non aveva, in fondo, tutti i torti.>>
E’ difficile, porco demonio, è davvero difficile ascoltare Claudia senza emozionarsi. Ma io devo essere la grondaia e non la pioggia, essere solo il vettore, anche se non è semplice esercitare il distacco.
<<Mi chiedi del film di Giordana (“Romanzo di una strage”, Ndr), immaginavo che l’avresti fatto. L’ho visto e rivisto e man mano le mie perplessità sono aumentate, per come rappresenta gli anarchici, per come emerge la figura di Calabresi, per l’ipotesi finale della doppia bomba…. Avrebbe dovuto essere un film su piazza Fontana ma è risultato un film di difficile comprensione che non mi ha coinvolto emotivamente e per alcune ricostruzioni mi ha fatto arrabbiare…
Devo dire che Giordana si è comportato bene con noi, nei rapporti intercorsi è stato corretto.
Ma il film l’ho trovato troppo incentrato sulla figura di Calabresi, in una lettura che non riesco a condividere.
Oggi leggo che un attore, omonimo del figlio del commissario, Paolo Calabresi, starebbe per interpretare Pino in una fiction televisiva in preparazione. Un Calabresi che interpreta Pinelli…>>
Anch’io non so se questo sia uno sberleffo del destino, e guardo Claudia col suo gatto nero: si è fatto tardi e dobbiamo lasciarci.
Sulla via del ritorno penso che la Storia dovrebbe rifiutare da se stessa le menzogne, ma so che non è così. La verità è fatica, volontà, coraggio, ostinazione, abbiamo la responsabilità e il dovere di testimoniarla per un semplice fatto di necessità: siamo esseri umani, non possiamo certo essere da meno di quei muri parlanti di Milano.
Mark Adin
Note accessorie.
L’intervista, svoltasi il 10 dicembre 2012 a Milano, è disponibile a chiunque desideri pubblicarla su stampa o web, a condizione che ne conservi forma e interezza e indichi chiaramente il link di questa pagina e il nome dell’autore.
venerdì 14 dicembre 2012
lunedì 10 dicembre 2012
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