Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

mercoledì 7 agosto 2013

per difendere la costituzione


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Pistole ad acqua contro carri armati?!?

Nella insopportabile calura dell’anticiclone africano la posta elettronica quasi si intasa per le richieste di sottoscrizione di appelli volti a “salvare“ la Costituzione bloccando il marchingegno delle “larghe intese” per cambiare l’art. 138.
Il primo di questi appelli, quello dei Comitati Dossetti, resta il migliore, senz’altro. Ma ce n’è perfino qualcuno che – chissà se per eccesso di “ingenuità” o di senso estremo dell’umorismo – è rivolto a Giorgio Napolitano! Il più gettonato sembra, però, essere quello lanciato da “Il Fatto Quotidiano” e firmato, oltre che da rispettabili esponenti dei Comitati Dossetti, anche da personaggi che suscitano francamente qualche perplessità. Ma, forse, è stato preferito agli altri proprio per quste firme: un costituzionalista illustre non se lo fila nessuno, mentre un politico, seppure poco credibile, ha una visibilità…
Come era prevedibile – in linea con il degrado di anni, con l’incapacità di autonoma iniziativa e, quindi, con il costume di questi anni – i “comunisti” e tutti gli “alternativi” non hanno trovato di meglio che aggregarsi – buoni ultimi – proprio a quest’appello.
Fino a qualche giorno prima nessuna di queste “forze” “antagoniste” s’era neppure accorta che Letta metteva in scena il copione, scritto al Quirinale, concordato con gli alleati-“avversari” governativi e da rappresentare – opportunamente, come sempre – nell’apatia dell’afa agostana. Avevano lasciato tutta l’iniziativa ai vituperati (e temuti) “grillini” i quali, grazie alla propria presenza parlamentare e all’uso “spesierato” che ne fanno, hanno rubato la scena mediatica ai sonnolenti “democratici” tradizionali che, senza uno straccio di deputato o di senatore, non sanno “far politica” o vi rinunciano (e, stando alle apparenze, neppure ci pensano!).
E dire che qualcuno di loro aveva posto, proprio in quei giorni, la “difesa della Costituzione” tra i tre punti cardine del proprio dibattito congressuale e del “programma politico”…
I volenterosi democratici avevano appena iniziato la fatica di mandare in giro per il web copie dell’appello con accorati inviti a sottoscriverlo che gli occupanti dei due Palazzi (Quirinale e Chigi) decidevano di rinviare tutto a settembre. Non erano state certo questa “mobilitazione” degli appelli, né il colorito boicottaggio dei “grillini” a convincerli dell’opportunità dello slittamento: la precarietà delle “larghe intese” e le prevedibili più acute contraddizioni che sarebbero seguite al riconoscimento – via Cassazione – della qualifica di delinquente al “cavaliere”, hanno più concretamente convinto a rinviare una rappresentazione troppo importante per rischiare il fiasco.
Così, senza sforzo o merito, i democratici si ritrovano rimessi in gioco. I loro pezzi grossi già ora, sotto gli ombrelloni, stanno preparando la “grande offensiva” delle firme da raccogliere già a fine agosto. Magari nelle tradizionali feste “politiche”, tra una canzone e una salsiccia alla brace…
Ma questo lavorio delle buone intenzioni ha speranza di spuntare qualche risultato?
Abbacinati e appagati dall’aver conquistato la carta costituzionale più avanzata dell’occidente capitalistico, i democratici, per decenni, si son distratti e non hanno preteso sempre che fosse rispettata e effettivamente applicata e, tanto meno hanno fatto qualcosa per il suo ulteriore sviluppo. Poi, dopo che il loro stesso degrado e “tangentopoli” avevano creato le condizioni per liquidare alcuni cardini della democrazia che la Costituzione aveva codificato, molti di loro si girarono dall’altra parte e finsero di non capire a cosa portassero le “riforme” che alcuni reazionari di antico corso o di nuova militanza proponevano e brigavano per realizzare. Alcuni, anzi, pensarono che fosse una buona idea provare a cavalcare la tigre e collaborarono o si misero in concorrenza con lor signori. Altri, privi sia di realismo che di fantasia, non trovarono di meglio che cucirsi addosso il vestito da “conservatori” – lasciando agli “altri” quello da “riformatori” – in una grottesca inversione dei ruoli. Incapaci – materialmente, oltre che culturalmente – di realizzare mobilitazioni di massa, affrontarono e continuano ad affrontare anche questa questione con “spirito decuberteniano”.
All’origine tutti mostrarono indignazione, ma pochi presero sul serio Licio Gelli e il (non soltanto suo) “piano di rinascita democratica”. Un numero ancora più esiguo sembrò accorgersi che le “riforme costituzionali” e il cambiamento istituzionale strisciante somigliavano maledettamente a quello che il “gran maestro” aveva “consigliato”.
Tuttavia, nel grigio tran-tran del quotidiano teatrino della politica le “anime belle” della democrazia nostrana trovarono modo di esternare tutta la propria indignazione invocando e costruendo – come il rito vuole – “il più vasto schieramento di forze autenticamente democratiche e popolari”. I più temerari e fantasiosi si spinsero – addirittura e senza la decisione formale dei rispettivi organismi dirigenti – a proporre e in qualche caso a organizzare i “comitati di difesa della costituzione”. Era come invocare, dopo un bel po’ che i buoi avevano cominciato a scappare, che qualcuno (ma chi?!?) chiudesse la porta della stalla. Nessuno è in grado di dire quanti illustri intellettuali e quanti politici di spicco si siano “mobilitati” in questo “vasto fronte democratico”. Resta il fatto che i “riformatori” – reazionari o “progressisti” che siano – non si sono lasciati impressionare più di tanto e non si sono fermati. Anzi, con alla testa e con l’esempio concreto dell’inquilino del Quirinale – noto e indiscusso “progressista” di chiara fama –, hanno deciso di passare senz’altro alla “soluzione finale” della questione costituzionale e democratica togliendosi dai piedi l’art. 138 per procedere più rapidamente alla meta della “terza repubblica”.
Ben vero che la democrazia rappresentativa borghese è ormai universalmente e irrimediabilmente logora e che, da noi, neppure una piena attuazione della nostra Costituzione potrebbe rimetterla in salute. Ma siamo ormai ad un vero e proprio attentato alla Costituzione, ad una sorta di “via parlamentare al colpo di stato”! Possono le migliori intenzioni, le nobili parole di un “largissimo fronte democratico” – con il corollario di appelli, petizioni e firme – tenere sotto controllo l’altissima posta in gioco? Possono fermare e sconfiggere la gravità della crisi e la feroce determinazione dell’avversario?
La nostra democrazia – per quanto inevitabilmente ancora borghese  e incompiuta –, è stata la conquista di una lotta popolare e di massa che, date le condizioni del tempo, fu anche lotta armata, segnata da migliaia di martiri: uomini e donne, giovani e vecchi, operai, contadini, intellettuali che non si limitarono ad esprimere sdegno e intenzioni, ma scesero in campo, in massa, pagando un prezzo molto alto. Ma vinsero, in nome di un bisogno reale e di una speranza. E anche quando venne il turno della politica, le forze del popolo e del progresso poterono contare su due formidabili leve. La prima fu che dalla loro parte erano schierati organizzazioni e dirigenti politici e sindacali di grande spessore, mentre nel campo avversario operavano uomini come Dossetti che moderavano e tenevano sotto controllo le componenti più reazionarie della propria parte. E, soprattutto, restò in campo la mobilitazione di quelle stesse masse che avevano sconfitto il nazifascismo e riconquistato una libertà che non poteva essere rimessa in pericolo. Furono queste le due condizioni del grande “compromesso storico” che rese possibile strappare agli occupanti alleati, al Vaticano e al capitalismo, che si era ingrassato per l’intero ventennio fascista, la Costituzione più avanzata dell’Occidente. Dove sono oggi in campo avverso i Dossetti? Dove sono, in campo democratico, i dirigenti comunisti di ben altro spessore del dopoguerra? E dove, in campo sindacale, uomini del calibro di Di Vittorio?!? Oggi i reazionari sono al soldo di un delinquente che ha scopertamente usato il potere per i suoi interessi, mentre i loro concorrenti-alleati "democratici" sono un’accozzaglia di relitti sopravvissuti alle burocrazie dei ripettivi partiti o di giovani vogliosi e rampanti, tutti in permanente competizione personale, tutti incapaci di qualsiasi iniziativa se non quelle utili ad accreditarli meglio come i più adatti a gestire il potere per conto delle classi dominanti. Il resto, fuori delle “larghe intese”, dati alla mano, è ormai roba di poco o nessun conto, non solo quantitativo.
In queste condizioni c’è ancora qualcuno che riesce a credere di poter salvare – oltre alla propria "faccia" e alla propria coscienza – democrazia e Costituzione in Italia con un po’ di appelli e con tante buone intenzioni?!?
Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario delle prime eroiche azioni che avrebbero portato alla vittoria del 25 aprile 1945: i grandi scioperi di marzo nelle fabbriche, che sfidarono la ferocia delle forze di repressione nazifasciste; le Quattro Giornate di Napoli, che dimostrarono come la ribellione e la lotta di un intero popolo può sconfiggere anche l’esercito più forte e organizzato; la formazione delle prime bande partigiane, che avrebbero sconfitto il nemico sul suo terreno e conquistato un sogno di libertà e di uguaglianza che andava ben oltre la vittoria e la pace. Non si onora quella storia appagandosi – consapevolmente – soltanto di vuota, rituale (e ormai inutile) retorica, con “iniziative” formali che – lo si sa benissimo fin dall’inizio – non serviranno a niente se non a rendere ancora più “belle” le anime che le hanno prese.
Come allora, anche oggi c’è un’unica strada, difficilissima, ma la sola che lasci una possibilità: la mobilitazione di massa, la più ampia e determinata possibile. E, forse, potrebbe essere anche un’occasione di ricomporre un legame ormai reciso e, quindi, di ripresa di un cammino da troppo tempo interrotto. Occorrerà parlarne tra compagni, convincerne e coinvolgerne un numero sempre maggiore; occorrerà darsi da fare per organizzare tante iniziative, anche piccole, ma di chiaramente connotate, di denuncia di ciò che è in gioco, di coinvolgimento, di mobilitazione, di lotta; occorrerà mettere allo scoperto lo scetticismo e la pavidità di chi si dichiara avanguardia, ma poi mostra profonda sfiducia in chi pretende di rappresentare; occorrerà stanare, incalzare e mettere a nudo l’ignavia, l’inerzia e l’opportunismo di pretesi dirigenti politici, di anime belle, di illustri intellettuali e di tutti i chiacchieroni per costringerli a scendere effettivamente in campo; occorrerà una volta per tutte svergognare la cialtroneria dei i falsi democratici che bivaccano sulla mancanza di una seria direzione dei movimenti e del protagonismo delle masse.
Invece di tutto questo, un po’ di firme possono bastare? Che speranza hanno le pistole ad acqua contro i carri armati?
Centro Culturale La città del sole

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