Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)
venerdì 1 maggio 2015
Potenza dell'impotenza
Un effetto l'hanno ottenuto, quello di legittimare, nel senso comune generale, l'aberrante dichiarazione di Alfano che ha testualmente detto che molti delinquenti sono stati preventivamente fermati, con ciò facendo piazza pulita non solo del garantismo puntualmente assicurato alla malavita di stato, ma anche delle più elementari norme di diritto che escluderebbero che si possa essere delinquenti prima di delinquere. Questa generalizzazione preventiva potrà essere estesa a chiunque e non si mancherà di farlo.
Ma il punto, ovviamente non è questo, ma la semplice constatazione che qualcuno si ostina a alzare i livelli di scontro a prescindere dai rapporti di forza concreti.
Il proletariato non può adottare la tattica militare della sua controparte senza andare incontro a una sconfitta certa.
Non occorre essere von Clausewitz per comprendere che nello spostamento di reparti da un capo all'altro della penisola, a seconda delle necessità, lo stato è vincente su qualsivoglia organizzazione di black block.
Il proletariato non vince con truppe aviotrasportate, ma con il controllo permanente del territorio che passa attraverso la costruzione di una rete di sostegno e solidarietà per la quale è necessario un paziente lavoro politico di lunga lena.
Senza questo, le volatili vittorie di qualche radiosa giornata non possono che ritorcersi puntualmente sugli strati popolari, non solo per l'aumento in ragione geometrica della inevitabile repressione, ma soprattutto per la totale messa in mora di ogni loro ragione, sopraffatta dall'egemonia dell'avversario anche all'interno della classe stessa.
Detto questo, non si può non convenire che l'associazione del tema della fame nel mondo con le vetrine expo delle multinazionali costituisce una provocazione grave.
Diciamo di più, questo indegno festival dell'ipocrisia è la riproposizione, fuori tempo massimo, di una dottrina che pensavamo in ritirata e che invece torna all'attacco, quella per cui bisogna riempire ben bene il piatto dei ricchi perché i poveri possano nutrirsi delle briciole che ne cadono.
Perfino il messaggio del papa per l'inaugurazione dell'Expo sembra ammiccare a questa nefanda teoria di cui, in futuro, dovremo vergognarci come di Auschwitz.
La misura della ributtante ipocrisia che c'è dietro tutto questo, ce la fornisce Pisapia, supposta voce della Milano democratica, che esterna indignazione davanti alla Scala, mentre dietro le sue spalle sfila ingioiellata e in ghingheri la crema di Milano e dell'Italia, decisa, per combattere la fame del mondo, al sacrificio di assistere alla Turandot, sfoggiando toilettes costose come l'intero PIL del Burkina Fasu.
Comprendiamo dunque benissimo, ma senza giustificarlo, che si possa essere indotti a rispondere con un'esplosione di violenza che è, però, implicita ed evidente ammissione di impotenza politica e modesto risarcimento simbolico di una sconfitta vissuta come irreversibile.
Ma la sconfitta non è irreversibile se si avrà l'avvertenza di non prendere scorciatoie e costruire il solo strumento che potrà organizzare e condurre la lotta definitiva e finale di una classe contro l'altra: il Partito Comunista.
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