Voi avete tradito la Resistenza – vogliamo si sappia – e nessuna mistificazione potrà mutare la realtà storica – quali furono le forze motrici della Resistenza e quali invece forze che, pur partecipando ai Comitati di Liberazione Nazionale, facevano da remora e praticamente agirono per limitare la guerra di Liberazione nazionale e per impedire o fare fallire l’insurrezione nazionale … saranno le masse lavoratrici a dare la spinta decisiva per l’azione di rinnovamento sociale: e questa spinta sarà tanto più travolgente quanto più avrete cercato di calpestare la volontà popolare, di farvi gioco delle aspirazioni e degli interessi della nazione
Così si esprimeva, prendendo la parola in senato, Pietro Secchia, il giorno dell'insediamento del governo Scelba, 10 febbraio 1954.
Pietro Secchia muore nel 1973, di ritorno dal Cile, dove, a suo dire, sarebbe stato avvelenato dalla CIA. |
Pietro Secchia è il vicesegretario del PCI, della cui organizzazione è il responsabile. Si dice che diriga anche un apparato occulto, pronto all'insurrezione o quanto meno a reagire con le armi a un eventuale colpo di stato fascista.
Certo è che i partigiani comunisti le armi non le hanno riconsegnate tutte, e che le hanno, ad ogni buon conto nascoste.
Quando si parla di Resistenza tradita, si parla, in forma forse volutamente equivoca di due cose diverse: la rottura dell'unità antifascista, con conseguente richiamo in servizio, in qualità di cani da guardia, dei neofascisti, oppure la brusca interruzione di un programma che intendeva proseguire, oltre la lotta contro il fascismo, fino alla trasformazione in senso socialista del paese.
I due tradimenti si riferiscono ad altrettante definizioni che della Resistenza sono state date, guerra di liberazione, nel primo caso, guerra civile nel secondo.
È curioso che proprio i partigiani più coerenti con i propositi di trasformazione sociale saranno i più decisi a rifiutare quest'ultima definizione, quando sarà proposta da Claudio Pavone (1991).
Nel citato discorso di Secchia i due concetti si fondono, si parte dal primo per approdare al secondo.
Ma un terzo concetto, più spiccio, si era già diffuso immediatamente a ridosso della Liberazione, quando l'assunzione di tutti i poteri da parte degli Alleati aveva comportato il trasferimento dei processi politici ai tribunali ordinari, deludendo le attese della tanto sperata resa dei conti.
Le esecuzioni si erano dunque prolungate in modo clandestino, il caso più noto fu quello della milanese (ma con propagini nel famigerato triangolo della morte emiliano) Volante Rossa, che agì fino al 1949.
Milano, 25 aprile 1948, la Volante Rossa apre il corteo del PCI. |
La Volante Rossa, oltre all'azione clandestina, opera come ufficioso servizio d'ordine del PCI milanese e come tale, nel novembre del 1947, interviene per garantire l'occupazione della prefettura voluta da Giancarlo Pajetta.
Secondo un rapporto del consolato americano a Milano (1947), questa e altre formazioni farebbero parte di un apparato militare del PCI comandato da Cino Moscatelli.
L'apparato è pronto - e in qualche caso, passa - all'azione, nel 1948, in seguito all'attentato contro Togliatti.
È questa l'occasione, insieme a un'ondata di inchieste retroattive su supposti crimini dei tempi di guerra , per colpire repressivamente molti ex partigiani che si suppone faccciano parte dell'apparato clandestino: scattano arresti e condanne, molti trovano rifugio oltrecortina.
Nel dicembre 1950 è il Sifar ad occuparsene in un suo rapporto. Secondo il servizio segreto, i responsabili militari, oltre a Moscatelli, sarebbero Arrigo Boldrini, Bulow, presidente dell'ANPI, Ilio Barontini e Giorgio Amendola.
Con la distensione internazionale l'apparato parallelo, seppur non smantellato, entra in stand bay, ma alla fine degli anni '60, la strategia della tensione, il colpo di stato dei colonnelli in Grecia e, successivamente, quello di Pinochet in Cile, ne mettono in fibrillazione singole parti che andranno definitivamente a saldarsi alle avanguardie di matrice extraparlamentare quando Berlinguer, per eccesso di legalitarismo, scioglierà le commissioni antifasciste – ovvero gli organi di direzione politica dell'apparato – delle federazioni.
Nel frattempo, non senza travagli e avventure, le diverse anime del sopravvissuto fascismo – tanto quella velleitarmente rivoluzionaria e d'ispirazione sociale che incarna lo spirito della RSI, quanto quella reazionaria, erede del fascismo monarchico – sono confluite nel MSI, dove la convivenza è spesso difficile. Le frange estreme si presteranno, pertanto, a essere massa di manovra di apparati di sicurezza dello stato della cui fiducia e protezione godono, poiché in essi ancora operano, molto spesso, gli stessi funzionari del precedente ventennio.
Ma per gli smobilitati della Decima e delle Brigate Nere si aprono anche rosee prospettive di individuale carriera. Grandi e piccoli industriali, superata la breve paura dell'epurazione, sono infatti a caccia di fascisti a cui affidare le relazioni interne delle loro aziende.
Non c'è industria, o quasi, che non abbia, come capo del personale, un fascista.
Dopo l'autunno caldo, quando comincerà, in ogni fabbrica, una lotta senza quartiere per il ripristino della disciplina, capi e capetti di tale estrazione cercheranno inevitabilmente di reimporre il proprio stile rozzo, arrogante e prepotente.
Saranno i primi obbiettivi di una nascente organizzazione.
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