Claudio Ardizio, esodato e leader della sinistra novarese che guarda a Tsipras, ha preso la parola alla manifestazione di Roma di Salvini e dei fascisti.
Nessuno, in quel frastuono, ha sentito cosa ha detto e se qualcuno l'ha sentito, del suo intervento non ricorda neanche una parola . Di quell'istante che, secondo lui, doveva palesare la sua statura di dirigente nazionale, resta solo una fotografia che lo ritrae in cattiva compagnia.
Talvolta l'opportunismo determina scelte davvero inopportune, tanto che sembrerebbe più appropriato parlare di inopportunismo.
Sconforto, ira e depressione tra i suoi sostenitori novaresi, da poco frustrati dalla defezione di Fonzo, il vicesindaco SEL passato in area PD per un piatto di lenticchie, e da tempo orfani del più illustre prodotto della locale Camera del Lavoro, quel Fausto Bertinotti inghiottito dai velluti dei salotti romani. Adesso sperano in Landini.
E qui sta il punto: quello di una sinistra che sente il bisogno di incarnarsi in un leader, cui fa riscontro la proliferazione di individui che di cotale sinistra credono di essere i leader.
La biografia di Ardizio è emblematica di questo processo. Ardizio entra nel PCI negli anni del tardo berlinguerismo, quando bastava voler far pagare le tasse a tutti e non calpestare le aiole per sentirsi comunista.
E' con questo bagaglio ideologico da cittadino svizzero che non segue la svolta della Bolognina e approda a Rifondazione.
Qui, dove c'è gente che non paga il biglietto dell'autobus, si sente a disagio e non si sente tenuto nella giusta considerazione.
Approda così a un caravanserraglio di avventurieri, i Moderati per Bresso, che sgomitano tra loro per un posto retribuito.
Sembrerebbe approdato alla meta finale, giacché moderato lo è sempre stato.
Ma disgraziatamente il ministro Fornero, con improvvido provvedimento, lo colloca, dall'oggi al domani, tra gli esodati.
E' una trasformazione che ha portata ontologica, da ingegnere che ha soggettivamente scelto di stare con gli sfruttati, entra, o crede di entrare, nel campo di chi è oggettivamente sfruttato.
La metamorfosi sociale dà ossigeno e credibilità alle sue mai tramontate ambizioni di avere un ruolo politico. Adesso ha una mission da portare avanti e ci prova, prima con Alba, poi con Ingroia, poi con Tsipras, infine con Salvini.
Sbaglierebbe chi pensa che le ambizioni di Ardizio abbiano un orizzonte per così dire, monetizzabile.
No, lui è sicuro di avere delle buone idee ed è convinto di essere indispensabile per il progresso dell'umanità.
Nel genere umano quasi tutti sono utili, pochissimi sono superflui e nessuno è indispensabile. Resta la questione delle buone idee, il peccato originale della faccenda.
Le buone idee noi le troviamo in quello che leggiamo, vediamo, ascoltiamo. Le desumiamo, cioè da un sistema di informazione che è quasi interamente nelle mani del padrone.
Il fatto che siano diffuse dal padrone non implica che non ci siano in giro idee davvero buone, tutto sta nel trovarle e distinguerle da quelle che buone non sono.
Ne consegue che noi non abbiamo bisogno di una collezione di buone idee, ma di un metodo per distinguerle.
Per i comunisti c'è un ulteriore sforzo da fare, distinguere tra le idee compatibili col proprio esser comunista e quelle che con esso sono coerenti, cioè, in altre parole, tra quello che si può fare e quello che si deve fare.
Compito del partito, intellettuale collettivo, garantire la corretta applicazione del metodo, stabilire la giusta gerarchia delle idee, ridimensionare le ipertrofie dell'io dei militanti.
Al sistema tolemaico dell'intellettuale piccolo borghese, che si sente il centro dell'universo, si deve sostituire il sistema copernicano, in cui tutto ruota attorno al principio della lotta di classe.
Dove non c'è il partito, non c'è né sistema copernicano, né tolemaico, ma un arcipelago di idee che reclamano tutte la propria centralità e autonomia. Qui, a governare i mille capitani di ventura che armano navi corsare, non può che essere il carisma di un grande capo.
Ardizio, culturalmente, è tutt'altro che uno sprovveduto, fa collezione di lauree. Tutte di tipo tecnico-scientifico. Forse, se ne avesse presa anche una di tipo umanistico, avrebbe potuto realizzare che se un intellettuale borghese decide di rinnegare la propria classe, deve rinnegarla per davvero.
E seguire la regola numero uno: meglio aver torto col partito, che avere ragione contro.
Poi, naturalmente, ci vuole il partito.
Mi ricorda Gremmo, di Biella. La sua bava è ancora incollata ai marciapiedi.
RispondiEliminapoveri esodati da ci sono rappresentati!!
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