Lo si desume dai punti del programma di governo del PD, infatti:
- al primo posto, con emissione di titoli di stato ad hoc, il pagamento alle imprese dei debiti delle pubbliche amministrazioni.
Naturalmente siamo d'accordo che tali debiti vengano pagati, ma ci si chiede se questa sia la manovra urgente da fare in un paese con il 15% di poveri e il 40% di inoccupati.
Forse è perché questi poveri sono già abituati alla miseria, e i padroni no.
- un altro punto qualificante è la riduzione del costo del lavoro stabile. Una buona idea per disincentivare il ricorso al precariato. Si poteva farlo gratis, abolendo la legge Biagi e decretando che il precariato è indegno di un paese civile. Ma significherebbe far prevalere le ragioni morali su quelle economiche, che è come pretendere che la Tailandia rinunci alla prostituzione infantile, infischiandosene del turismo. Con simili posizioni conservatrici bisogna farla finita, meglio ridare alle imprese un po' di soldi delle tasse, che tanto ci sarà sempre qualcun'altro a cui farle pagare.
- quello che sembra un passo avanti è il salario minimo, ma in realtà è un passo indietro, perché, fino a poco tempo fa c'era già, garantito dalla validità erga omnes dei contratti di lavoro. Per ripristinarlo, bastava abrogare il famigerato art. 8 del decreto Sacconi. Ma si dava un dispiacere a Marchionne, dal quale a quanto pare, ci aspettiamo ancora grandi cose.
Se esaminiamo la filosofia che sta dietro a questi tre provvedimenti, non fatichiamo a identificare il dogma (ormai stravecchio) di Reagan e della Tatcher, secondo il quale, i poveri possono vivere solo delle briciole dei ricchi. Coerentemente all'assunto, per migliorare il tenore di vita dei poveri, bisogna aumentare la quota di ricchezza dei ricchi.
Bravo PD! Bravo Bersani! Ma più bravo Grillo, che vi manda tutti a casa!
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