Di Gianni Letta si sa poco, né la stampa si preoccupa di informarci un po' di più su chi sembra candidato alla presidenza della repubblica.
Del resto, i giornalisti italiani sono fatti, salvo lodevoli e rare eccezioni, così: vogliono lo stesso stipendio dei loro colleghi stranieri, ma non vogliono fare la stessa fatica di quelli, nel cercare le notizie. Si accontentano di quello che racconta loro il diretto interessato, o sua mamma, o gli amici del bar.
Ed infatti, per lungo tempo Sindona, Calvi, Pazienza e altri self made man all'italiana, hanno occupato le cronache, senza che mai si sollevasse un dubbio sull'origine e reale consistenza delle loro improvvise fortune. Ognuno si fida di quello che ha già scritto un collega, e lo riscrive.
Per questa ragione è da tutti unanimamente accettata l'idea che Gianni Letta sia, per l'appunto, un galantuomo.
Ma chi lo dice?
Il Pdl, innanzitutto, convinto che il fatto che sappia usare le posate da pesce e che, a differenza della maggior parte dei esponenti di quel partito, non rutti a tavola, basti a qualificarlo come tale.
Poi il Pd, giacché è zio di un loro dirigente e nella speranza che non racconti particolari delle trattative tra Berlusconi e D'Alema, ai tempi della bicamerale.
E anche Monti, senza dubbio, visto che siedono gomito a gomito al tavolo degli advisors di Goldman Sachs.
Come si è detto: amici e parenti stretti.
Ma bisognerebbe ricordarsi che:
- se la cavò per amnistia su una vicenda di finanziamento illecito ai partiti;
- fu coinvolto in un oscura storia di appalti alle cooperative cielline;
- fu pronto a collaborare con una potenza straniera per ridimensionare e preservare da ulteriori indagini un reato che costò la vita a un servitore dello stato.
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