Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

lunedì 9 dicembre 2013

Appunti di storia della lotta armata [2]

L'anno prima
Genova, 30 luglio 1960
Chi li capisce il PCI e la CGIL? Due anni prima, a Genova, quando c'era il governo Tambroni, stravedevano per quei giovani con le magliette a strisce che le suonavano alla celere, ma oggi, a Torino, in piazza Statuto, non gli piacciono più.
Torino, luglio 1962
Cos'è successo? È successo che SIDA e UIL hanno firmato un'accordo separato e alla Fiat, FIOM e FIM hanno proclamato lo sciopero.
Scioperano tutti, o quasi, la strada si riempie di gente e gli operai si dirigono verso Piazza statuto, dove c'è la sede della UIL.
Invano i galoppini sindacali e di partito si affannano a soffiare sul fuoco, la gente è incazzata, volano sassi e cominciano gli scontri con la polizia, che durano tre giorni, notti comprese.
La condanna della sinistra storica è unanime: i giovani dimostranti sono elementi incontrollati ed esasperati, piccoli gruppi di irresponsabili, giovani scalmanati.
Ma tutta la Torino democratica e antifascista è lì a dar loro una mano.
C'è anche Sante Notarnicola, 24 anni, pugliese. Ha trascorso l'infanzia in un istituto e da dieci anni è arrivato a Torino, dove vive la madre. È comunista, è stato anche segretario della FGCI, ma il partito gli sta stretto. 
Sante, in quella piazza si muove bene, con decisione. Lo nota Pietro Cavallero, di una decina d'anni più vecchio. Anche lui è stato, nel dopoguerra, un dirigente della gioventù comunista. Ma è un estremista e il partito lo ha scaricato.
Diplomato e con una vasta cultura d'autodidatta, frustrato nelle sue ambizioni di rivoluzionario professionale, Pietro è ormai un disadattato che non riesce ad avere un lavoro fisso, come Sante.
Sono fatti per intendersi e per fare sul serio.
Scheda segnaletica di Jules Bonnot
Sono per l'azione e il loro modello è Jules Bonnot e la sua banda di rapinatori anarchici. I soldi serviranno per finanziare non si sa bene che, nel frattempo la rapina, come atto eversivo nei confronti del potere normativo del denaro, è sufficiente ragione di se stessa.
Cavallero coinvolge un altro compagno, quasi coetaneo , ma che fatto in tempo a partecipare, giovanissimo, alla Resistenza: Adriano Rovoletto.
Nel 1963 cominciano le prime rapine, andranno avanti per quattro anni, trasformandosi in colpi sempre più audaci che terrorizzano il triangolo industriale.  Épater le bourgeois!
Aprono un ufficio di copertura e si assegnano un normale stipendio, non si concedono lussi. Dopo qualche anno, associano all'impresa un apprendista, Donato Lopez, di soli 17 anni, di una famiglia emigrata dal sud.
L'ultima rapina è il 25 settembre del 1967. Intercettati dalla polizia iniziano una fuga forsennata con sparatoria e tre passanti ci rimettono la vita. 
Sono presi e processati rapidamente. Lopez, per la giovane età, viene condannato a dodici anni, per gli altri tre è l'ergastolo.
Alla sentenza, i tre balzano in piedi e intonano Figli dell'officina.
Cavallero, Notarnicola e Rovoletto al momento della sentenza
In carcere, forse assecondata da un violento pestaggio delle guardie carcerarie, Cavallero ha una crisi mistica e abbraccia la fede. Notarnicola, invece, radicalizza le sue posizioni, il suo sarà il primo nome della lista dei prigionieri che le BR vorrebbero liberati in cambio di Aldo Moro.
Inutile dire che la dimensione politica della loro azione, sfuggì, allora ai più. Fu considerata una pagliacciata da non prendere in seria considerazione e furono sbrigativamente liquidati come delinquenti politici. Di lì a poco, saranno imitati.
D'altronde era solo il 1967 e l'Italia era ancora un paese arretrato e provinciale.
Era l'anno prima.

 




appunti di storia della lotta armata [1]

L'onda lunga della guerra civile


Voi avete tradito la Resistenza – vogliamo si sappia –  e nessuna mistificazione potrà mutare la realtà storica – quali furono le forze motrici della Resistenza e quali invece forze che, pur partecipando ai Comitati di Liberazione Nazionale, facevano da remora e praticamente agirono per limitare la guerra di Liberazione nazionale e per impedire o fare fallire l’insurrezione nazionale … saranno le masse lavoratrici a dare la spinta decisiva per l’azione di rinnovamento sociale: e questa spinta sarà tanto più travolgente quanto più avrete cercato di calpestare la volontà popolare, di farvi gioco delle aspirazioni e degli interessi della nazione
Così si esprimeva, prendendo la parola in senato, Pietro Secchia, il giorno dell'insediamento del governo Scelba, 10 febbraio 1954.
Pietro Secchia muore nel 1973, di ritorno dal Cile, dove, a suo dire, sarebbe stato avvelenato dalla CIA.
Pietro Secchia è il vicesegretario del PCI, della cui organizzazione è il responsabile. Si dice che diriga anche un apparato occulto, pronto all'insurrezione o quanto meno a reagire con le armi a un eventuale colpo di stato fascista. 
Certo è che i partigiani comunisti le armi non le hanno riconsegnate tutte, e che le hanno, ad ogni buon conto nascoste.
Quando si parla di Resistenza tradita, si parla, in forma forse volutamente equivoca di due cose diverse: la rottura dell'unità antifascista, con conseguente richiamo in servizio, in qualità di cani da guardia, dei neofascisti, oppure la brusca interruzione di un programma che intendeva proseguire, oltre la lotta contro il fascismo, fino alla trasformazione in senso socialista del paese.
I due tradimenti si riferiscono ad altrettante definizioni che della Resistenza sono state date, guerra di liberazione, nel primo caso, guerra civile nel secondo.
È curioso che proprio i partigiani più coerenti con i propositi di trasformazione sociale saranno i più decisi a rifiutare quest'ultima definizione, quando sarà proposta da Claudio Pavone (1991).
Nel citato discorso di Secchia i due concetti si fondono, si parte dal primo per approdare al secondo.
Ma un terzo concetto, più spiccio, si era già diffuso immediatamente a ridosso della Liberazione, quando l'assunzione di tutti i poteri da parte degli Alleati aveva comportato il trasferimento dei processi politici ai tribunali ordinari, deludendo le attese della tanto sperata resa dei conti.
Le esecuzioni si erano dunque prolungate in modo clandestino, il caso più noto fu quello della milanese (ma con propagini nel famigerato triangolo della morte emiliano) Volante Rossa, che agì fino al 1949.
Milano, 25 aprile 1948, la Volante Rossa apre il corteo del PCI.


La Volante Rossa, oltre all'azione clandestina, opera come ufficioso servizio d'ordine del PCI milanese e come tale, nel novembre del 1947, interviene per garantire l'occupazione della prefettura voluta da Giancarlo Pajetta.
Secondo un rapporto del consolato americano a Milano (1947), questa e altre formazioni farebbero parte di un apparato militare del PCI comandato da Cino Moscatelli.
L'apparato è pronto - e in qualche caso, passa - all'azione, nel 1948, in seguito all'attentato contro Togliatti.
È questa l'occasione, insieme a un'ondata di inchieste retroattive su supposti crimini dei tempi di guerra , per colpire repressivamente molti ex partigiani che si suppone faccciano parte dell'apparato clandestino: scattano arresti e condanne, molti trovano rifugio oltrecortina.
Nel dicembre 1950 è il Sifar ad occuparsene in un suo rapporto. Secondo il servizio segreto, i responsabili militari, oltre a Moscatelli, sarebbero Arrigo Boldrini, Bulow, presidente dell'ANPI, Ilio Barontini e Giorgio Amendola.
Con la distensione internazionale l'apparato parallelo, seppur non smantellato, entra in stand bay, ma alla fine degli anni '60, la strategia della tensione, il colpo di stato dei colonnelli in Grecia e, successivamente, quello di Pinochet in Cile, ne mettono in fibrillazione singole parti che andranno definitivamente a saldarsi alle avanguardie di matrice extraparlamentare quando Berlinguer, per eccesso di legalitarismo, scioglierà le commissioni antifasciste –  ovvero gli organi di direzione politica dell'apparato –  delle federazioni.
Nel frattempo, non senza travagli e avventure, le diverse anime del sopravvissuto fascismo –  tanto quella velleitarmente rivoluzionaria e d'ispirazione sociale che incarna lo spirito della RSI, quanto quella reazionaria, erede del fascismo monarchico – sono confluite nel MSI, dove la convivenza è spesso difficile. Le frange estreme si presteranno, pertanto, a essere massa di manovra di apparati di sicurezza dello stato della cui fiducia e protezione godono, poiché in essi ancora operano, molto spesso, gli stessi funzionari del precedente ventennio.
Ma per gli smobilitati della Decima e delle Brigate Nere si aprono anche rosee prospettive di individuale carriera. Grandi e piccoli industriali, superata la breve paura dell'epurazione, sono infatti a caccia di fascisti a cui affidare le relazioni interne delle loro aziende.
Non c'è industria, o quasi, che non abbia, come capo del personale, un fascista. 
Dopo l'autunno caldo, quando comincerà, in ogni fabbrica, una lotta senza quartiere per il ripristino della disciplina, capi e capetti di tale estrazione cercheranno inevitabilmente di reimporre il proprio stile rozzo, arrogante e prepotente.
Saranno i primi obbiettivi di una nascente organizzazione.
  




sabato 30 novembre 2013

altro che unità: è ora di separarci!

cacciamo gli elementi piccolo-borghesi dalle nostre fila, solo epurandoci ci rafforzeremo

E' arrivato il momento di reagire contro l'egemonia borghese che ha ridotto all'impotenza il movimento comunista.
Troppi idioti affollano le nostre riunioni umiliando il dibattito con temi estemporanei che non si rifanno all'analisi della realtà, ma a convinzioni ideologiche.
Abusando della pazienza di tutti, introducono elementi estranei al dibattito e scatenano polemiche inutili il cui scopo, che ne siano consci o no, è quello di sabotare ogni tentativo di ripresa dell'iniziativa comunista.
Sono facilmente riconoscibili per l'enfasi con cui dicono cose vecchie ormai di vent'anni, certi di affermare cose nuove e per il sussiego con cui presentano i loro risibili argomenti, convinti di impastare farina del proprio sacco, mentre propagano tesi riconducibili a questa o quella gazzetta del padrone.
Dobbiamo cacciarli via!
E dobbiamo essere chiari:

  • i diritti umani sono un'invenzione dell'illuminismo e restano affare interno della borghesia. Noi non siamo contro i diritti umani e siamo pronti a insorgere se vengono calpestati, ma non siamo interessati a sostenere le campagne delle lobby etniche, religiose, culturali, di genere, di specie, di orientamento sessuale, che hanno il solo scopo di promuovere le élite di minoranze organizzate.
  • la pace, noi siamo contro l'imperialismo armato, ma siamo a favore della Guerra Civile in Spagna, di Stalingrado, della Resistenza, della lotta del popolo del Vietnam e altro ancora, non siamo pacifisti e non siamo disponibili a impegnarci su questo tema su base etica.
  • la lotta di classe noi siamo per i diritti collettivi, i diritti sociali, per tutte le libertà e le conquiste che modificano concretamente il sistema di potere esistente, alterandone gli equilibri di classe. Non siamo disponibili a lotte sul piano simbolico, utili solo a procurare cattedre universitarie.
non c'è posto, tra noi, per chi vuole fare carriera nel sistema dei padroni.

venerdì 15 novembre 2013

Sutor non ultra callidas

ovvero:

Letta è più razzista di Calderoli

Si dice che lo scultore Apelle, avendo colto le critiche di un ciabattino, avesse corretto la forma dei calzari di una sua scultura. Si racconta poi che, quando l'inorgoglito calzolaio aveva esteso le sue critiche ad altri particolari della sua opera, lo scultore ne avesse stizzosamente represso le velleità, pronunciando la frase sutor non ultra callidas, il ciabattino non vada oltre le scarpe.
Deve essere questo il principio che ha guidato Enrico Letta alla formazione del suo governo.
Nel decidere - sparagna e comparisci - di inserire un ministro di colore nel suo governo, gli ha inventato appositamente un ministero per negri.
Poco costoso, è vero, ma anche assolutamente inutile. 
Cosa poteva fare, la povera Kienge, con siffatto ministero? Nulla, assolutamente nulla, se non un po' di lodevole propaganda per la quale, a ben vedere, poteva bastare il suo ruolo di parlamentare.
Sembra essere stata messa lì, a bell'apposta, per scatenare gli insulti volgari di Calderoli & co. e costringere l'opposizione di sinistra alla solidarietà con il governo. E, naturalmente, è proprio così.
Letta non è certamente Lenin, che a una cuoca avrebbe affidato il ministero dell'economia e non quello del minestrone, ma qualcosa di più avrebbe potuto fare.
Se ha deciso, e sono d'accordo con lui, che la Kienge può essere un buon ministro, doveva affidargli il ministero degli interni o quello della giustizia.
Lì, quotidianamente, Cécile potrebbe intervenire sul razzismo spicciolo alimentato da un sistema legale di discriminazione e segregazione, cioè sul nostro razzismo di Stato codificato.
Oltretutto le cronache dimostrano che non avrebbe potuto far peggio degli attuali ministri in carica.
Ma per Letta, i grandi si occupano delle cose serie, mentre i bambini hanno la loro cameretta coi giochi. Forse inventerà un ministero per gay e uno per i disabili.
Alla simpatica ministra, un consiglio: se ne vada sbattendo la porta, dimostrandoci che nel suo petto batte il cuore di Django e non del collaborativo negro di casa


martedì 22 ottobre 2013

segnalazione


Giuseppe Veronica, Hamid non sa leggere. Malessere in classe o malessere di classe? in: "Zapruder" n. 31
in vendita presso Mondo Musica, viale Roma 20 Novara

sabato 21 settembre 2013

ricordi personali

Di Milano i Paperoni, Campironi e Preatoni (per tacer di Berlusconi).


Chi sarà mai stato Ennio Campironi. Di lui ben poco è rimasto e non sappiamo neppure se è vivo o morto. Un risvolto di copertina delle Edizioni fiorentine Parenti ci consegna un suo commento del 1956 ad un libro di Aldo Capitini su Danilo Dolci: In Danilo l’Autore ha trovato la sua bandiera; il metodo di Gandhi, che poteva essere considerato tipicamente orientale,  è stato applicato in Sicilia con effetti insperabili e, dopo solo quattro anni di lavoro, Borgo di Dio, l’Asilo, la Università Popolare, il Consorzio per la irrigazione sono i tangibili effetti di una opera tenace e rivoluzionaria, di un amore sconfinato.
A quel tempo si occupava, dunque, di cose maledettamente serie, che rendevano, ahimè, ben pochi quattrini. Nel 1963 si occupa ancora di pacifismo e scrive un articolo su «Vie Nuove» in difesa dell'obbiettore di coscienza cattolico Giuseppe Gozzini. In quello stesso anno si occupa dell'ufficio stampa del teatro La Fenice di Venezia, in occasione del Passatore di Massimo Dussi. Molti anni lo separavano ancora dalla croce di commendatore, di cui verrà insignito nel 1981, su proposta dell'allora presidente del consiglio Forlani, e dalla tessera (888 Milano) della loggia P2, che aveva ottenuto l'anno prima, quando si occupava della segreteria amministrativa del Psi.
Che la commenda a Campironi sia stata uno dei portati secondari del patto del camper tra Craxi e Forlani lo evinco dalla mia memoria personale: nel il 1976 lavoravo a Milano, in via Puccini, presso una strana casa editrice. Campironi aveva il suo ufficio nello stesso stabile, e alla mia azienda, non doveva essere del tutto estraneo, oppure vi si sentiva legato per ragioni affettive, fatto sta che non disdegnava benevole visite, a cui il mio direttore, il compianto Piero Piazzano, reagiva con deferenza, non scevra di timore. Ma chi era, dunque?
Io a Piero lo chiedevo: potentissimo, mi rispondeva, con un prudente sussurro e poi aggiungeva quel nome, Craxi.
Ma se se ne cercano sue notizie, oggi si trova pochino. Di lui, ne parla Tassan Din, a proposito dei propri rapporti col «Corriere della Sera»: Comunque negli ultimi tempi volevano cacciarmi, me lo ha detto anche un certo Campironi, che era legato a Gelli e al PSI.
Il 26 maggio 1981 diversi deputati di sinistra rivolgono un'interpellanza al ministro dei trasporti, in merito alla nomina di Campironi a vicepresidente del Cit, malgrado sia emerso il suo coinvolgimento nella P2. Il ministro interpellato, Rino Formica, è membro della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia di Gelli, ma non sembra averne, per ora, scoperto molto, infatti non ha difficoltà a sedere nello stesso governo del piduista, e compagno di partito, Enrico Manca. In ogni caso, il governo di cui è ministro si è dimesso il giorno precedente l'interrogazione.
Sul web, a ben cercare, si ritrova anche una sua fotografia, che merita d'esser vista. Si torna al 1972, Campironi presenta, in compagnia di due attricette (una delle quali destinata, ma sul viale del tramonto, a performance con Rocco Siffredi), la merendina Gong della Motta di cui come si apprende dalla didascalia, è capo servizio marketing. 

L'anno dopo, scrive una lettera a Raffaele Crovi, a quel tempo direttore dei programmi culturali della Rai milanese, ma non siamo in grado di dire se i suoi interessi vertano ancora su merendine e sexy stars.

Ultima citazione: in calce alla commemorazione di Craxi di un acido blog anticomunista, un anonimo ha taggato, a mo' di commento, due nomi: Ennio Campironi e Alvaro Luciani, anche quest'ultimo, funzionario dell'ufficio legale dell'Inps, era membro della P2 e revisore dei conti del Psi
Invano, di Campironi, si cercherebbero ulteriori notizie in rete, escludendo, naturalmente, le centinaia di blog che pubblicano, stantia primizia, lo stesso identico elenco degli affilliati di Gelli.
Ma per me, malgrado l'anonimato che lo ha ora inghiottito, resta il misterioso malommo di via Puccini, dove lavoravo alle dipendenze di Ernesto Preatoni.

Preatoni, già segretario della sezione socialista di Garbagnate, e attuale raiss di Sharm el Sheik, di Campironi deve saperne ben di più.

Nel 1976 il giovane finanziere è lanciatissimo, da cinque anni è il presidente dell'associazione dei consulenti finanziari e sembra saper piazzare bene i soldi che i clienti gli affidano. Eppure sono anni non facili, con inflazione galoppante e rigide restrizioni dei movimenti di capitale.
Uno degli investimenti, è appunto questa Euroguide dove lavoro.

Ma di come e perché, il prodotto di tale casa editrice, ad alta densità di dirigenti e collaboratori di area socialista, sembri essere stato studiato per diventare un'interminabile tela di Penelope,e di come, una volta faticosamente realizzata la mission, decise di chiudere i battenti, racconterò un'altra volta.

mercoledì 7 agosto 2013

per difendere la costituzione


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Pistole ad acqua contro carri armati?!?

Nella insopportabile calura dell’anticiclone africano la posta elettronica quasi si intasa per le richieste di sottoscrizione di appelli volti a “salvare“ la Costituzione bloccando il marchingegno delle “larghe intese” per cambiare l’art. 138.
Il primo di questi appelli, quello dei Comitati Dossetti, resta il migliore, senz’altro. Ma ce n’è perfino qualcuno che – chissà se per eccesso di “ingenuità” o di senso estremo dell’umorismo – è rivolto a Giorgio Napolitano! Il più gettonato sembra, però, essere quello lanciato da “Il Fatto Quotidiano” e firmato, oltre che da rispettabili esponenti dei Comitati Dossetti, anche da personaggi che suscitano francamente qualche perplessità. Ma, forse, è stato preferito agli altri proprio per quste firme: un costituzionalista illustre non se lo fila nessuno, mentre un politico, seppure poco credibile, ha una visibilità…
Come era prevedibile – in linea con il degrado di anni, con l’incapacità di autonoma iniziativa e, quindi, con il costume di questi anni – i “comunisti” e tutti gli “alternativi” non hanno trovato di meglio che aggregarsi – buoni ultimi – proprio a quest’appello.
Fino a qualche giorno prima nessuna di queste “forze” “antagoniste” s’era neppure accorta che Letta metteva in scena il copione, scritto al Quirinale, concordato con gli alleati-“avversari” governativi e da rappresentare – opportunamente, come sempre – nell’apatia dell’afa agostana. Avevano lasciato tutta l’iniziativa ai vituperati (e temuti) “grillini” i quali, grazie alla propria presenza parlamentare e all’uso “spesierato” che ne fanno, hanno rubato la scena mediatica ai sonnolenti “democratici” tradizionali che, senza uno straccio di deputato o di senatore, non sanno “far politica” o vi rinunciano (e, stando alle apparenze, neppure ci pensano!).
E dire che qualcuno di loro aveva posto, proprio in quei giorni, la “difesa della Costituzione” tra i tre punti cardine del proprio dibattito congressuale e del “programma politico”…
I volenterosi democratici avevano appena iniziato la fatica di mandare in giro per il web copie dell’appello con accorati inviti a sottoscriverlo che gli occupanti dei due Palazzi (Quirinale e Chigi) decidevano di rinviare tutto a settembre. Non erano state certo questa “mobilitazione” degli appelli, né il colorito boicottaggio dei “grillini” a convincerli dell’opportunità dello slittamento: la precarietà delle “larghe intese” e le prevedibili più acute contraddizioni che sarebbero seguite al riconoscimento – via Cassazione – della qualifica di delinquente al “cavaliere”, hanno più concretamente convinto a rinviare una rappresentazione troppo importante per rischiare il fiasco.
Così, senza sforzo o merito, i democratici si ritrovano rimessi in gioco. I loro pezzi grossi già ora, sotto gli ombrelloni, stanno preparando la “grande offensiva” delle firme da raccogliere già a fine agosto. Magari nelle tradizionali feste “politiche”, tra una canzone e una salsiccia alla brace…
Ma questo lavorio delle buone intenzioni ha speranza di spuntare qualche risultato?
Abbacinati e appagati dall’aver conquistato la carta costituzionale più avanzata dell’occidente capitalistico, i democratici, per decenni, si son distratti e non hanno preteso sempre che fosse rispettata e effettivamente applicata e, tanto meno hanno fatto qualcosa per il suo ulteriore sviluppo. Poi, dopo che il loro stesso degrado e “tangentopoli” avevano creato le condizioni per liquidare alcuni cardini della democrazia che la Costituzione aveva codificato, molti di loro si girarono dall’altra parte e finsero di non capire a cosa portassero le “riforme” che alcuni reazionari di antico corso o di nuova militanza proponevano e brigavano per realizzare. Alcuni, anzi, pensarono che fosse una buona idea provare a cavalcare la tigre e collaborarono o si misero in concorrenza con lor signori. Altri, privi sia di realismo che di fantasia, non trovarono di meglio che cucirsi addosso il vestito da “conservatori” – lasciando agli “altri” quello da “riformatori” – in una grottesca inversione dei ruoli. Incapaci – materialmente, oltre che culturalmente – di realizzare mobilitazioni di massa, affrontarono e continuano ad affrontare anche questa questione con “spirito decuberteniano”.
All’origine tutti mostrarono indignazione, ma pochi presero sul serio Licio Gelli e il (non soltanto suo) “piano di rinascita democratica”. Un numero ancora più esiguo sembrò accorgersi che le “riforme costituzionali” e il cambiamento istituzionale strisciante somigliavano maledettamente a quello che il “gran maestro” aveva “consigliato”.
Tuttavia, nel grigio tran-tran del quotidiano teatrino della politica le “anime belle” della democrazia nostrana trovarono modo di esternare tutta la propria indignazione invocando e costruendo – come il rito vuole – “il più vasto schieramento di forze autenticamente democratiche e popolari”. I più temerari e fantasiosi si spinsero – addirittura e senza la decisione formale dei rispettivi organismi dirigenti – a proporre e in qualche caso a organizzare i “comitati di difesa della costituzione”. Era come invocare, dopo un bel po’ che i buoi avevano cominciato a scappare, che qualcuno (ma chi?!?) chiudesse la porta della stalla. Nessuno è in grado di dire quanti illustri intellettuali e quanti politici di spicco si siano “mobilitati” in questo “vasto fronte democratico”. Resta il fatto che i “riformatori” – reazionari o “progressisti” che siano – non si sono lasciati impressionare più di tanto e non si sono fermati. Anzi, con alla testa e con l’esempio concreto dell’inquilino del Quirinale – noto e indiscusso “progressista” di chiara fama –, hanno deciso di passare senz’altro alla “soluzione finale” della questione costituzionale e democratica togliendosi dai piedi l’art. 138 per procedere più rapidamente alla meta della “terza repubblica”.
Ben vero che la democrazia rappresentativa borghese è ormai universalmente e irrimediabilmente logora e che, da noi, neppure una piena attuazione della nostra Costituzione potrebbe rimetterla in salute. Ma siamo ormai ad un vero e proprio attentato alla Costituzione, ad una sorta di “via parlamentare al colpo di stato”! Possono le migliori intenzioni, le nobili parole di un “largissimo fronte democratico” – con il corollario di appelli, petizioni e firme – tenere sotto controllo l’altissima posta in gioco? Possono fermare e sconfiggere la gravità della crisi e la feroce determinazione dell’avversario?
La nostra democrazia – per quanto inevitabilmente ancora borghese  e incompiuta –, è stata la conquista di una lotta popolare e di massa che, date le condizioni del tempo, fu anche lotta armata, segnata da migliaia di martiri: uomini e donne, giovani e vecchi, operai, contadini, intellettuali che non si limitarono ad esprimere sdegno e intenzioni, ma scesero in campo, in massa, pagando un prezzo molto alto. Ma vinsero, in nome di un bisogno reale e di una speranza. E anche quando venne il turno della politica, le forze del popolo e del progresso poterono contare su due formidabili leve. La prima fu che dalla loro parte erano schierati organizzazioni e dirigenti politici e sindacali di grande spessore, mentre nel campo avversario operavano uomini come Dossetti che moderavano e tenevano sotto controllo le componenti più reazionarie della propria parte. E, soprattutto, restò in campo la mobilitazione di quelle stesse masse che avevano sconfitto il nazifascismo e riconquistato una libertà che non poteva essere rimessa in pericolo. Furono queste le due condizioni del grande “compromesso storico” che rese possibile strappare agli occupanti alleati, al Vaticano e al capitalismo, che si era ingrassato per l’intero ventennio fascista, la Costituzione più avanzata dell’Occidente. Dove sono oggi in campo avverso i Dossetti? Dove sono, in campo democratico, i dirigenti comunisti di ben altro spessore del dopoguerra? E dove, in campo sindacale, uomini del calibro di Di Vittorio?!? Oggi i reazionari sono al soldo di un delinquente che ha scopertamente usato il potere per i suoi interessi, mentre i loro concorrenti-alleati "democratici" sono un’accozzaglia di relitti sopravvissuti alle burocrazie dei ripettivi partiti o di giovani vogliosi e rampanti, tutti in permanente competizione personale, tutti incapaci di qualsiasi iniziativa se non quelle utili ad accreditarli meglio come i più adatti a gestire il potere per conto delle classi dominanti. Il resto, fuori delle “larghe intese”, dati alla mano, è ormai roba di poco o nessun conto, non solo quantitativo.
In queste condizioni c’è ancora qualcuno che riesce a credere di poter salvare – oltre alla propria "faccia" e alla propria coscienza – democrazia e Costituzione in Italia con un po’ di appelli e con tante buone intenzioni?!?
Quest’anno ricorre il settantesimo anniversario delle prime eroiche azioni che avrebbero portato alla vittoria del 25 aprile 1945: i grandi scioperi di marzo nelle fabbriche, che sfidarono la ferocia delle forze di repressione nazifasciste; le Quattro Giornate di Napoli, che dimostrarono come la ribellione e la lotta di un intero popolo può sconfiggere anche l’esercito più forte e organizzato; la formazione delle prime bande partigiane, che avrebbero sconfitto il nemico sul suo terreno e conquistato un sogno di libertà e di uguaglianza che andava ben oltre la vittoria e la pace. Non si onora quella storia appagandosi – consapevolmente – soltanto di vuota, rituale (e ormai inutile) retorica, con “iniziative” formali che – lo si sa benissimo fin dall’inizio – non serviranno a niente se non a rendere ancora più “belle” le anime che le hanno prese.
Come allora, anche oggi c’è un’unica strada, difficilissima, ma la sola che lasci una possibilità: la mobilitazione di massa, la più ampia e determinata possibile. E, forse, potrebbe essere anche un’occasione di ricomporre un legame ormai reciso e, quindi, di ripresa di un cammino da troppo tempo interrotto. Occorrerà parlarne tra compagni, convincerne e coinvolgerne un numero sempre maggiore; occorrerà darsi da fare per organizzare tante iniziative, anche piccole, ma di chiaramente connotate, di denuncia di ciò che è in gioco, di coinvolgimento, di mobilitazione, di lotta; occorrerà mettere allo scoperto lo scetticismo e la pavidità di chi si dichiara avanguardia, ma poi mostra profonda sfiducia in chi pretende di rappresentare; occorrerà stanare, incalzare e mettere a nudo l’ignavia, l’inerzia e l’opportunismo di pretesi dirigenti politici, di anime belle, di illustri intellettuali e di tutti i chiacchieroni per costringerli a scendere effettivamente in campo; occorrerà una volta per tutte svergognare la cialtroneria dei i falsi democratici che bivaccano sulla mancanza di una seria direzione dei movimenti e del protagonismo delle masse.
Invece di tutto questo, un po’ di firme possono bastare? Che speranza hanno le pistole ad acqua contro i carri armati?
Centro Culturale La città del sole

venerdì 7 giugno 2013

Martiri di Fondotoce


salario minimo garantito

l'utopia italiana
Quando si parla di reddito minimo garantito sembra di evocare un'utopia, ma essa è tale solo nel nostro paese (e in Grecia)
Germania Sozialhilfe
370 € mensili per ogni adulto + l'affitto + il riscaldamento + riduzione trasporti pubblici
+ 215 € per ogni figlio minore di 6 anni, che diventano 251 dai 6 ai 14 anni e 287 dopo i 14 anni
in caso di trasloco vengono pagate le spese
Irlanda
single 806 € mensili
coppia 1.347
coppia + un figlio 1.476
con due figli 1.605
con tre figli 1.734
+ sussidio affitto
Francia Revenu de solidarieté active
single 467 € mensili
coppia 934
con due figli 980
con tre 1.167
+ sostegno all'affitto o al mutuo
Regno Unito Jobseeker's allowance
single dai 16 ai 24 anni 64,78 € settimanali
dopo i 25 anni 81,80
coppie 139 € settimanali
l'affitto (fino a 460 € alla settimana) è coperto dall'Housing benefit
Austria Sozialhilfe
single da 401 a 512 € mensili
coppia 768
coppia con un figlio da 836 a 1.045
con due figli da 1.070 a 1.314
+ sussidio affitto e riscaldamento
Belgio Droit a l'intégration sociale
single 755 € mensili
con un familiare a carico 1.006
coppia con due figli 1.355
+ casa popolare o sostegno affitto
Olanda Algemene Bijstand
tra i 21 e i 65 anni, single 659 € mensili
coppia 1.319
+assegno vacanze

Tutte le legislazioni prevedono anche il caso di single con uno o più figli a carico.
Come si può vedere questi sussidi e relativi benefit, che sono universali e non delimitati nel tempo fanno invidia a molte nostre famiglie monoreddito.
In questi paesi non si pagano più tasse che in Italia.
I loro servizi non sono peggiori dei nostri.

sabato 25 maggio 2013

storia di una parola: popolo

popolo bue


il disprezzo per il popolo è ormai esplicito, quando si parla di qualcosa che può piacere al popolo, l'aggettivo di elezione è populista, essendo, popolare, ormai unicamente destinato a designare generi di consumo a basso prezzo.
Ben gli sta, al popolo, che non aveva nessun bisogno d'esser tale.
La parola popolo è invenzione truffaldina, con la quale, nei tempi antichi, i patrizi prendevano per il culo la plebe, dandole da intendere, quando ne occorreva il sacrificio, di essere, insieme, una sola cosa: il popolo, per l'appunto.
La parola è stata usata in senso nobilitante ed inclusivo ogni volta che serviva il macello dei poveri per difendere gli interessi dei ricchi, per poi tornare, lestamente alla più comune accezione, spregiativa ed escludente, di volgare, plebeo, dozzinale.
Sigarette popolari, spettacolo popolare, posti popolari, prezzi popolari e persino treni popolari.
Secoli e invenzioni, ci vollero, affinché una parte della plebe si trasformasse finalmente in proletariato.
(1, continua)

giovedì 23 maggio 2013

bricolage..

do it yourself!
gli slums di Stoccolma, capitale del welfare socialdemocratico vanno in fiamme.
ad attizzar l'inferno, un immigrato armato di machete, prontamente abbattuto dalla polizia.
meno lesti, i tommies londinesi, che hanno atteso, per intervenire, la decapitazione, per analoga lama, di un collega.
torna di moda, nella vecchia Europa, l'uso di armi di recupero, un sussulto di artigianato.
a Milano una gioielleria di via della spiga è stata rapinata da una banda armata di mazze da basebal e bottiglie molotov.
investigatori di sicuro acume hanno parlato di una banda che rapina i negozi-simbolo delle capitali europee.
come mai abbiano capacità organizzative e mezzi per imperversare per il continente, ma utilizzino un arsenale primitivo, non se lo chiede nessuno.
qualsiasi ipotesi, anche la più stravagante, è preferibile alla realtà:
è la rabbia che si sta organizzando!

mercoledì 15 maggio 2013

la riscoperta della socialdemocrazia

Nel nostro paese il termine socialdemocratico è stato a lungo equiparato ad un insulto, e le ragioni non mancavano.
La scissione socialdemocratica italiana, finanziata con i dollari dei sindacati americani, oltre a permettere l'estromissione delle sinistre dal governo, determinò, grazie a un misero, ma sufficiente, risultato elettorale, la sconfitta del fronte popolare.
Cominciato bene, il PSDI finì anche meglio, l'ex segretario nazionale Pietro Longo, affiliato alla P2, venne arrestato il 30 aprile del 1992 per aver ricevuto una tangente di un miliardo e mezzo di lire dalla ditta milanese Icomec in relazione all'appalto di costruzione della centrale idroelettrica di Edolo, in provincia di Brescia, nel periodo in cui egli ricopriva anche l'incarico di consigliere di amministrazione dell'ENEL, e viene successivamente condannato per concussione a quattro anni e sei mesi di reclusione. L'11 giugno del 1992 Lamberto Mancini, assessore della Provincia di Roma ed ex Presidente della stessa Provincia, venne sorpreso dal Carabinieri nell'atto di intascare una tangente di 28 milioni di lire, e arrestato in flagranza di reato. 
Ma il PSDI non aveva atteso mani pulite per sentire odore di galera, nel 1975, infatti, il segretario Mario Tanassi fu travolto, insieme a Mariano Rumor (Dc) e Luigi Gui (Dc), dal primo grande scandalo della politica italiana, venendo posto in stato d'accusa per corruzione dalla commissione inquirente. La Corte Costituzionale nel 1979 condannò Tanassi a 28 mesi di carcere, per tangenti ricevute dalla società americana Lockheed per facilitare la vendita dei C-130 all'Aeronautica militare italiana. Alla fine degli anni '80,  il cosiddetto scandalo delle "carceri d'oro" travolse invece il segretario Franco Nicolazzi.
Insomma, dei veri galantuomini.
Recentemente, però, si assiste a una rivalutazione della socialdemocrazia, assunta a sinonimo di unica sinistra possibile in uno scenario bipolare e nella prospettiva dell'insuperabilità del capitalismo.
Antesignano di questa proposta il cinico e disinibito Massimo D'Alema, ma un recente alfiere è Niki Vendola.
Nelle ultime ore sembra che dirigenti di altri partitini dell'area comunista siano sedotti da questa sirena.
Naturalmente, quando parlano di socialdemocrazia, non intendono la socialdemocrazia italiana, che storicamente ben conosciamo, ma la socialdemocrazia europea, di cui sappiamo poco e niente e che per questa sola ragione ci sembra qualcosa di più nobile.
Ma basterebbe quel poco che sappiamo, per guastare la festa.
Nella squallida e feroce vicenda del colonialismo europeo, ad esempio, non c'è partito socialdemocratico che non si sia reso complice - quando non artefice - delle vergognose repressioni che hanno insanguinato Asia e Africa.
Ma, per darci un orientamento preciso sulla reale natura dell'osannata socialdemocrazia europea, basta questo fatto storico:
Il 15 gennaio 1919 vennero assassinati Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, sulla testa dei due dirigenti comunisti, i socialdemocratici tedeschi avevano posto una taglia di 100.000 marchi.